giovedì 28 ottobre 2010

COMUNICATO STAMPA

Roma, 27 ottobre 2010



IL GOVERNO NON FARA' MORIRE L'ANPI

Il contributo che il Governo annualmente attribuisce per legge alle 16 Associazioni combattentistiche e partigiane vede quest'anno una drastica riduzione rispetto al passato.

L'ANPI è stata pesantemente penalizzata:

ammonta infatti a 73.500 euro ciò che è stato destinato all'ANPI rispetto ai 165.000 euro del 2009. Per giustificare questa odiosa discriminazione, il governo delle destre e della Lega Nord ha manomesso il numero degli iscritti all'ANPI del 2009 attribuendocene 44.000 anziché i 105.000 reali. Con quasi la metà di tutti gli iscritti alle 16 associazioni, all'ANPI è stato assegnato solo il 10% del totale dei finanziamenti!

Cos'altro è questo se non un tentativo del Governo di ridurre al silenzio la nostra Associazione? Di mettere a tacere l'antifascismo organizzato, la memoria della Resistenza, l'impegno dell'ANPI nella difesa e promozione della Costituzione?

L'ANPI REAGIRA' SOLLECITANDO UNA PROTESTA PUBBLICA E UNITARIA DELL'ANTIFASCISMO E DEI DEMOCRATICI IN TUTTE LE SEDI: PARLAMENTO, ENTI LOCALI, STAMPA, TV E CON UNA GRANDE SOTTOSCRIZIONE NAZIONALE.

L'ANPI NON MORIRA', NEANCHE QUESTA VOLTA

LA SEGRETERIA NAZIONALE ANPI

mercoledì 27 ottobre 2010

“Sfregio” alla Resistenza

Ferma condanna dell’Anpi. Solidarietà ai partigiani da Draghetti e Donini
“Sfregio” alla Resistenza
Ancora un atto vandalico contro un monumento simbolo

Nella notte tra domenica e lunedì, nel quartiere Bolognina, una corona di alloro posta sotto la lapide
dedicata a due partigiani uccisi dai fascisti all’angolo tra via Di Vincenzo e via Tibaldi, è stata rimossa e gettata per strada, tra le auto in sosta. Lo ha reso noto il presidente della sezione Anpi Bolognina, Armando Sarti, sottolineando che si tratta del secondo episodio del genere, quest’anno, nello stesso luogo. La lapide è dedicata a Bruno Monterumici, condannato a 18 anni di carcere dal tribunale
speciale fascista, e a Vasco Mattioli, che combattè in Spagna contro l’esercito del gen. Franco.
«L' Anpi condanna il vile gesto - afferma Sarti in una nota - e chiede vigilanza ai cittadini e alle forze dell’ordine, perchè cessi questo scempio che colpisce i luoghi della Resistenza con una catena di episodi che pare non abbiano mai fine ». Sarti ringrazia anche i passanti che, trovata la corona
per strada, l’ hanno ricomposta e risistemata sotto la lapide ai caduti.
«Per la seconda volta quest'anno - è il commento della presidente della Provincia Beatrice Draghetti -
uno dei luoghi rappresentativi della Resistenza viene fatto oggetto di un’azione inqualificabile, di un vile
gesto in spregio della memoria dei valori fondativi del nostro Paese». Draghetti auspica una maggiore
vigilanza per evitare il ripetersi di vandalismi analoghi.
«Sconcerto e indignazione » per l’accaduto vengono espressi da Raffaele Donini, segretario del Pd di
Bologna. «Auspico che le indagini della magistratura portino presto ad accertare e a punire i responsabili e invito tutti a fare proprio l'appello dell'Anpi a vigilare affinchè episodi come questo non abbiano a ripetersi », aggiunge Donini rinnovando «la solidarietà mia personale e del Pd di Bologna
» all'Anpi.

Il domani di Bologna 27/10/2010

giovedì 21 ottobre 2010

Vietare ogni manifestazione di apologia del nazismo

Vietare ogni manifestazione di apologia del nazismo
Prevista per il 28 ottobre una conferenza a milano in onore di un criminale di guerra delle SS. A prefetto e questore il compito di impedirla


Redazione - Osservatorio democratico - 20/10/2010


La setta neonazista degli Hammer, nata a livello internazionale a metà degli anni Ottanta da una costola del Ku Klux Klan, dopo la Skinhouse a Bollate ha aperto, come recentemente denunciato, un'altra sede a Milano, in viale Brianza 20, tra la Stazione Centrale e piazzale Loreto. Un negozio con tanto di vetrina presentato come “avamposto contro l'immigrazione e gli zingari”.
La prima iniziativa per inaugurare i nuovi locali è stata annunciata dagli stessi Hammer per giovedì 28 ottobre prossimo, con una conferenza in onore dell'ex generale belga delle Ss Lèon Degrelle, condannato da un tribunale del proprio Paese come criminale di guerra.
Nella locandina di convocazione spicca una fotografia dell'ex generale in divisa e lo stemma della stessa Divisione delle Waffen-Ss comandata a suo tempo da Degrelle: la Wallonie, prima di una sua ingloriosa fuga, abbandonando tutti gli uomini al loro destino, a bordo di un aereo in Spagna per rifugiarsi alla corte del dittatore Franco.
“Un'apologia degli orrori del Terzo Reich, intollerabile e inaccettabile, che offende la memoria delle vittime del nazismo, dei deportati per motivi razziali nei campi di concentramento e dei perseguitati politici”, ha dichiarato il segretario provinciale di Rifondazione comunista Antonello Patta, annunciando un immediato intervento nei confronti “del Prefetto e del Questore di Milano affinché una simile vergognosa iniziativa non abbia luogo, tanto più convocata, crediamo non a caso, nella data del 28 ottobre, anniversario della Marcia su Roma”.

osservatoriodemocratico

Io mi chiamo Andrea, ho 55 anni e sono un pastore sardo

Io mi chiamo Andrea, ho 55 anni e sono un pastore sardo. Allevatore ovi-caprino per l’esattezza. Vivo a Mara con la mia famiglia, una moglie bellissima e tre figli, uno più vivace e disgraziato dell’altro. Ho un gregge di 35 pecore e ogni mattina mi sveglio alle cinque per pascolarle e sistemare l’ovile. La sera rientro tardi, in questo periodo, d’inverno, la luce ci abbandona prima e devo fare tutto di fretta, ma prima delle sette e mezza non metto piede in soggiorno. Il mio lavoro, comunque non mi abbandona mai, che sia domenica o che sia Natale o Capodanno, le bestie devono mangiare. Francamente la cosa non mi dispiace, rispetto i miei animali, mi permettono di sopravvivere e in qualche modo di tirare avanti. Spesso mi porto i miei figli, anche se il lavoro che faccio, a loro, poco interessa. Studiano tutti e il più grande fa medicina veterinaria a Roma, non lo vedo che saranno passati ormai tre mesi. Il medio è appena ventenne, dice che vuol fare il filosofo, spero si guadagni bene a fare il filosofo, per ora so solo che quando non legge o studia certi manuali, mattoni in carta, lo trovo davanti alla televisione che gioca alla playstation.

Amo la mia famiglia. Li vedo pochissimo, tutti, moglie compresa. Mia moglie mi adora, nonostante tutto. Nonostante a volte io puzzi in maniera insopportabile. Nonostante non ci sia mai, nonostante spesso sia costretto ad alzare la voce perchè non capisco nè lei, nè i miei figli. Nonostante non mi accorga quando si tagli i capelli per apparire più soave di quanto già sia. Nonostante non apprezzi i vestiti che si compri per apparire più elegante di quanto già sia. Ah! Che ne so io di vestiti? di capelli? conosco appena appena la lana che toso alle mie belve.

Amo la mia famiglia e non sopporto l’idea che non possa vivere nella dignità di una famiglia normale. Lavoro dodici ore al giorno, 365 giorni all’anno affinchè mia moglie non debba vergognarsi di uscire di casa perchè non ha un abito che le piace e affinché i miei figli possano studiare e vivere il loro tempo e i loro divertimenti in totale serenità.

Che cosa ho io in meno di un impiegato di banca, di un direttore di banca? Il direttore di banca produce forse latte da bere, formaggio da mangiare? il direttore di banca produce debiti eppure la comunità lo apprezza più di quanto apprezzi me che mi preoccupo di sfamarla. Il mercato del latte è diventato impossibile, 25 anni fa un litro di latte ce lo pagavano 1.320 lire. Oggi ci danno appena 55/60 centesimi, l’equivalente di 1.100 lire. In 25 anni quanto è aumentato il costo della vita? si è almeno triplicato, e il valore che danno al nostro lavoro è diventato un quarto, è qualcosa di raccapricciante. E poi ci chiedono di collaborare, di avere fiducia nel futuro. Ma quale futuro? Quello che non riusciamo a dare neppure a chi abbiamo concepito? Già, perchè se continua così io sarò costretto a far rientrare mio figlio da Roma, sarò costretto a interrompere i suoi studi.

Lavoro dodici ore al giorno, 365 giorni all’anno e se non accetto quel prezzo imposto dai grandi acquirenti (quelli che poi, magari vanno in Romania a trasformare, a quattro soldi di salari, e ci ricaricano il 500%) e dalla fantasmagorica Unione Europea, posso anche morire di fame. Ma la vita di un uomo si misura in qualcosa di più di un pezzo di pane.

Io mi chiamo Andrea, ho 55 anni, quattro bocche da sfamare, 35 pecore da pascolare, e nonostante tutto mi sono svegliato alle 4 per venire ad un sit in davanti alla Regione Sardegna. Non disprezzo chi mi governa, voglio solo che rispettino la costituzione e i diritti al lavoro e ad una vita dignitosa. Chiedo solo quello e lo faccio pacificamente. A gran voce, ma pacificamente. Ogni tanto sento i miei figli che mi dicono di stare attento. Chiedo a Luca, il più piccolo, com’è andata al liceo. Poi sento Dario, gli dico di guardare le news e di lasciar perdere i videogiochi, ma so che non lo farà. Luigi non lo sento, è in laboratorio tutto il giorno, lo chiamerò stanotte penso. Ma stanotte è già arrivata. Dal lato destro del corteo qualcuno che non conosco, qualcuno che non riconosco, ha lanciato una bottiglia contro una vetrata. Chi è? continuo a chiedermi impaziente, chi è??

Ma non ho il tempo di rispondere. In preda allo stress, al nervoso, alla stanchezza, attaccano anche i miei amici e colleghi. Bottiglie, una, due, tre, finchè non si sentono gli scarponi degli sbirri marciare verso di noi. E poi uno sparo, un altro, sono lacrimogeni. Qualcuno è ad altezza uomo. Mi guardo intorno, guardo chi è con noi per capire come finirà. Nessun politico. Siamo spacciati. Non c’è neppure iRS, qualche sparuta presenza di Sardigna Natzione. La marcia si fa più fitta e i manganelli si alzano.

Io mi chiamo Andrea, ho 55 anni, sono un pastore sardo. Ho una moglie e tre figli da sfamare, 35 pecore da pascolare, lavoro dodici ore al giorno, 365 giorni all’anno e ho un braccio spezzato. Sento le sirene dei carabinieri che hanno arrestato altri 14 padri di famiglia. Sento le sirene dell’ambulanza che mi sta portando via. Mentre mi caricano in lettiga, sento anche un ragazzo in divisa ridere e dire che lui ha colpito dove capitava, che problemi non se n’era posti, che aveva anche calpestato con gusto una donna inciampata mentre scappava.

Lo guardo senza odio. Sorrido pensando che ha l’età di mio figlio, l’età di Dario. Dovresti essere a giocare alla playstation, penso. Ma forse, in fondo, tu credi che sia la stessa cosa.

gaetanolucafilice.blogspot.com

«Tagliare i fondi all’Istituto Parri»

Il duro attacco del consigliere regionale Fabio Filippi al centro di ricerca sulla Resistenza
«Tagliare i fondi all’Istituto Parri»
La motivazione: «È ideologicamente di parte, meglio spendere altrove»


«Ideologicamente di parte », incollato ad una sola forma di ricerca storica: quella «dei vincitori». L’Istituto storico Parri di Bologna chiede finanziamenti alle istituzioni, ma per Fabio Filippi, consigliere
regionale del Pdl, sarebbe meglio «tagliare i fondi» al centro regionale di ricerca e destinare i soldi risparmiati a «settori realmente fondamentali per il cittadino, quali scuola, sociale, sicurezza e salute».
«Al Parri di Bologna ci si occupa, dal 1963, della storia del movimento della Resistenza e della guerra
di Liberazione. Da anni l’istituto si prodiga nel sostenere la centralità della Resistenza nella storia d’Italia e nell'indicare la cultura antifascista quale luogo di costruzione di una nuova democrazia - scrive
il berlusconiano in una nota - non una parola o una riga, invece, sul disegno di importare il comunismo
in Italia, progetto che per tanti anni ha animato molti partigiani, e in seguito ex partigiani. Di quale democrazia stiamo parlando?». Insomma, «dal Parri, in questi anni, si è fatta ricerca di parte e insegnata una storia di parte. Libelli pieni di elogi per i vincitori e non una parola per i vinti. Un operazione chirurgica per eliminare l’altra faccia della medaglia. Questa non è ricerca storica seria – insiste Filippi - ma un modo per rinverdire certe ideologie». Filippi attacca poi l’incontro di sabato prossimo, promosso dal Parri per illustrare attività, servizi funzionalità dell’istituto.
Oltretuttto, ricorda infine il consigliere, la conferenza «sarà introdotta e presieduta dal presidente
emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, personaggio particolarmente discusso e, notoriamente, di parte»

da L’Informazione di Bologna 21/10/2010

Questo ennesimo attacco alla Memoria non è altro che un segno dei tempi. Forse il consigliere ha delle lacune nella sua formazione, forse non ha studiato a sufficienza la storia del 900, in particolare modo quella che va dal 1920 al 1945. Nella sua giaculatoria parla di “non una parola per i vinti”. Ma non c’è bisogno di scrivere o dire parole. Le città, le strade sono piene di lapidi che ricordano le vittime delle rappresaglie nazifasciste. Forse ha ragione dovremmo spendere più parole sui vinti, ricordarli come Tartarotti, camicia nera torturatore a Bologna, e della banda dei suoi accoliti che nel periodo 1943/1945 ha seminato il terrore. Potremo spendere più parole per la banda Koch che fu addirittura sciolta dai tedeschi a causa delle sue nefandezze. Il consigliere inoltre non considera un grosso errore commesso in Italia nel dopoguerra. Noi italiani non abbiamo mai avuto un Processo di Norimberga e chi aveva un ruolo di responsabilità nel periodo fascista fu rimesso o lasciato al suo posto. Se si fossero processati e condannati tutti i criminali di guerra come è avvenuto in Germania ora forse non assisteremmo a queste esternazioni, Inoltre mi piacerebbe ricordare al consigliere Fabio Filippi che se la storia venisse insegnata nelle scuole, che tanto il suo governo ha contribuito a distruggere, non ci ritroveremmo degli studenti universitari dichiarare che la Strage alla Stazione di Bologna fu realizzata dalle Brigate Rosse e non da neofascisti.

domenica 17 ottobre 2010

Documento Congresso di sezione 2010

Un occhio sul presente
Stiamo vivendo un momento politico ed economico in cui la democrazia costituzionale, nata dalla Resistenza, è continuamente minacciata nei suoi fondamenti: violazioni palesi di leggi esistenti, approvazioni di leggi in aperto contrasto con la Carta Costituzionale, spesso “ad unam personam”, svilimento delle attività parlamentari (Camera e Senato), attacchi sistematici all’esercizio autonomo del potere giudiziario della Magistratura, nonché gravi violazioni di leggi che riguardano i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, con modifiche peggiorative e limitative dei diritti dei medesimi, di cui l’attacco forsennato allo Statuto dei Lavoratori è parte di una strategia mirante a cancellare i diritti costituzionali e i contratti nella società e nei luoghi di lavoro e a trasformare il lavoratore nel soggetto precario e debole di un sistema economico basato sulla corsa sfrenata al profitto.
Non vengono adottati provvedimenti atti ad eliminare i disagi economici conseguenti alla perdita di lavoro, che colpisce duramente anche sul nostro territorio, o il depauperamento delle pensioni, creando così nuove povertà e l’apertura ulteriore della forbice differenziale tra la ricchezza ostentata e l’indigenza manifesta.
Su questo quadro si inserisce anche la pesante manovra di tagli che grava sugli enti locali, che si vedono costretti loro malgrado a mettere le mani nelle tasche dei cittadini, dimezzando i servizi, penalizzando in questo modo sempre di più le fasce più deboli della popolazione.

Quotidianamente assistiamo a evidenti violazioni dell’art. 3 della Costituzione laddove si dice che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge”. Ne siamo quasi assuefatti e non sappiamo più indignarci. In questo principio di eguaglianza disatteso c’è il principio di legalità che è la base per l’esercizio di tutti i diritti. Non vengono date a tutti le stesse opportunità, nulla si fa per rimuovere i fattori di disparità sociale, culturale ed economica tra gli appartenenti tutti, a prescindere da origine etnica, religione, opinione politica.. alla collettività.

Ci preme fare anche una riflessione sulla trasformazione delle Forze Armate da esercito di leva ad esercito professionale con la conseguente interpretazione dell’art 11 della Costituzione dove si fa riferimento al fatto che l’Italia “consente (…) alle limitazioni della sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”: anziché fare riferimento alle Nazioni Unite, organismo sovranazionale che raggruppa gli Stati, ci si riferisce alla NATO e quindi alla politica militare nordamericana (Guerra nei Balcani, Afghanistan…), disattendendo in questo modo la Carta Costituzionale.

I nostri obiettivi
L’ANPI rappresenta oggi la voce di chi si riconosce nei valori fondanti della Costituzione, atto finale della lotta partigiana.
I nostri obiettivi, oggi più che mai, devono quindi essere:

1. la difesa e l’attuazione della Costituzione con riferimento:

• al lavoro quale diritto sancito dalla Carta Costituzionale e dai relativi contratti che da essa discendono; alla sicurezza sul lavoro, alla tutela dei diritti acquisti dai lavoratori;
• ai diritti inalienabili della persona senza distinzione di sesso, razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, con particolare attenzione al mondo femminile, ricordandone anche il valore determinante della partecipazione nella lotta partigiana, troppo poco riconosciuta e trasmessa alla memoria storica;
• alla laicità dello Stato rispetto alle scelte individuali (testamento biologico) e in campo scolastico “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” (Art. 33 Costituzione)

2. L’avvicinamento dei giovani alla Storia, in particolare alla storia del Novecento e alla conoscenza di quel lungo periodo del regime totalitario che ha cancellato ogni libertà e che ha portato alla Lotta di Liberazione nazionale. Intendiamo continuare l’intervento nelle scuole attraverso testimonianze, approfondimenti e analisi critiche della Storia nazionale e locale, senza però fermarci ad un approccio accademico alla storia, che spesso finisce per non stimolare l’interesse dei ragazzi, e avviare una riflessione sulla Comunicazione, elemento centrale oggi di ogni proposta politica, adeguandoci ai tempi e fornendo strumenti di conoscenza (web, internet, blog, digitalizzazioni…) facilmente fruibili dai giovani.

3. Il contatto e la collaborazione con altre sezioni ANPI, attraverso una rete di collegamento e coordinamento, per un confronto e per la condivisione di uno sguardo politico comune sulla società di oggi che abbia come prerogativa la diffusione di un pensiero antifascista come “spazio e luogo” di aggregazione di idee e azioni volte a caratterizzare il nostro impegno civile e di “Resistenza” oggi.

Un’associazione come l’ANPI, per ciò che rappresenta, e per il significato della sua esistenza non può dirsi soddisfatta di aver raggiunto i 100.000 iscritti perché ne servono ancora, per sostenere l’urto dell’onda revisionista e neofascista.
Pena l’estinzione!!!
Ma per fare questo deve anche dotarsi di un progetto comunicazionale aggiornato nelle forme e nei contenuti che di seguito chiamiamo:

IL SIGNIFICATO DELLA COMUNICAZIONE, e che consideriamo l’elemento centrale della nostra proposta politica.

Comunicare vuol dire mettere in comune e Comunicazione vuol dire comune unica azione.

Il contesto della comunicazione in un’associazione come la nostra è di mettere in comune le informazioni.
Nel nostro caso le informazioni sono la storia di quella parte di società italiana che a un certo punto della storia nazionale ha fatto una determinata scelta.
Scelta di volta in volta interpretata come scelta politica, di campo o altro.

Scelta che ha portato dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 (data convenzionale per la Liberazione) a ribellarsi sia militarmente, sia sottoforma di disobbiedenza civile ad un regime nato nel 1922.

L’associazione nata il 5 aprile 1945, nel suo statuto si ripromette di mantenere vivo il ricordo dei partigiani ( donne e uomini) e del loro sacrificio nella lotta di Liberazione nelle nuove generazioni, con vari mezzi e manifestazioni.

Ma oggi a 65 anni dalla fine della guerra, l’A.N.P.I. cosa deve comunicare? Il contesto storico è stato affidato ai vari Istituti Storici dove sono stati depositati i documenti, per aiutare lo studio degli storici e diventare un capitale di memoria.

Il contesto politico, nello statuto, è molto marginale: il valore delle idee che portarono alla Lotta di Liberazione sono tutt’oggi fondamentali per lo stato italiano. Idee che dovrebbero essere anche il fondamento delle ideologie dei partiti “democratici” che rappresentano i cittadini nel parlamento.

Dopo 65 anni purtroppo si deve riscontrare che le nuove generazioni sono del tutto ignoranti sulla nostra storia nazionale, i programmi scolastici della nostra storia sono sempre stati evasivi per quanto riguarda il periodo del 900, per scelte poliche, per la mancanza di impegno da parte dei docenti, per la carenza di programmazione delle istituzioni.

Oggi c’è la necessità di recuperare, di riempire il vuoto di questi anni. Ma come farlo?

Spesso per il periodo del 25 aprile nelle scuole si fanno incontri con partigiani e studenti, con i docenti (motivati) si creano percorsi didattici di approfondimento di quel periodo, l’ANPI cerca di coinvolgere sempre di più le istituzioni scolastiche.

Occasioni dove il passato si confronta con il presente, ma queste occasioni a causa del passare del tempo e della scomparsa dei nostri generosi compagni anziani sono destinate a scomparire.

Come coinvolgere le giovani generazioni, come interessarle ma soprattutto come fare capire cosa sia stato il fascismo e il nazismo negli anni dal 1922 al 1945?

L’approccio accademico, dove i giovani sono passivi ascoltatori è ancora un mezzo di comunicazione valido oggigiorno?

I nuovi mezzi di comunicazione, comparsi in questi ultimi anni, possono essere presi come validi sostituti? Ma soprattutto esiste la capacità di saperli utilizzare?

In questi anni c’è stato un proliferare di siti web, blog, pagine informatiche su cui viene pubblicato di tutto, da pagine di storia, a pagine di commenti politici e purtroppo anche pagine di enfatizzazione del passato regime.

S’è cercato di adeguare la nostra sezione ai tempi fornendo una sua struttura “virtuale” che è il sito internet, dove sono state pubblicate centinaia di pagine dedicate alla storia locale e nazionale della Resistenza, in cui si cerca di dare informazione a livello nazionale pubblicando notizie che non hanno una loro vetrina nell’informazione del paese, ma che tuttavia rapprensentano quanto avviene nella vita sociale della nazione.

Una piccola struttura che a fine del 2010 dovrebbe raggiungere le 500.000 pagine lette per un totale di quasi 300.000 contatti, un risultato sicuramente rilevante per una piccola sezione di provincia come la nostra. Ma sicuramente sottoutilizzata per quello che potrebbe essere il canale di comunicazione politico della sezione.

Sempre quest’anno è stata avviata la nuova iniziativa destinata ai giovani, il concorso musicale Alfredo Impullitti Note per la Memoria, dove ha visto alla sua prima edizione la partecipazione di 321 giovani.

Questa iniziativa fatta in collaborazione con l' Associazione Alfredo Impullitti, è stato un importante evento nel quale i giovani sono stati i protagonisti e non semplici comparse per le celebrazioni del 65° Anniversario della Liberazione.

L’evento musicale è stato un’ottimo veicolo per farci conoscere, nel solo mese di aprile il sito ha avuto 4.998 contatti per 10.779 pagine lette e chi si è avvicinato all’ANPIPIANORO per avere informazioni sul concorso ha letto le pagine pubblicate.

In questo caso si è condiviso, si è comunicato con persone che probabilmente non si sarebbero mai contattate direttamente per parlare di Resistenza, fascismo, di lotta di Liberazione e non sono state poche le parole di stima e di incoraggiamento ricevute per l’impegno profuso sia per la realizzazione del concorso sia per quanto viene scritto on line.

In occasione di questo evento, si è realizzato anche un canale o sezione all’interno di un noto socialnetwork, dove è stata posta la storia del concorso con i suoi dati, le foto, i nomi dei vincitori. In questa nuova esperienza i visitatori hanno una media di 20 anni.

Questo conferma quanto andiamo affermando, spesso inascoltati, da anni e cioè che se si dà la possibilità ai giovani di mettersi in gioco, di essere parte attiva di un progetto, di potersi esprimere liberamente questi rispondono con la partecipazione.

Proponiamo quindi che se l’ANPI si vuole davvero rinnovare, se vuole riuscire a portare all’interno della sua organizzazione le giovani generazioni, deve farle esprimere senza preconcetti e limitazioni, dando loro la possibilità di realizzare progetti e/o di coinvolgerli nelle proprie iniziative.

lunedì 4 ottobre 2010

L'Ispettorato Speciale di PS di Trieste Nella Sede di via Cologna.

L’ISPETTORATO SPECIALE DI PS DI TRIESTE NELLA SEDE DI VIA COLOGNA.
La Provincia di Trieste ha deciso di mettere all’asta l’ex caserma dei Carabinieri di via Cologna 6 e 8, e la stampa ha riferito che al suo posto dovrebbe sorgere un complesso residenziale.
Dato che in questo Paese la memoria storica, soprattutto quella che dovrebbe ricordare le cose “scomode”, tende a perdersi, non molti ormai sanno che dall’autunno del 1944 all’aprile del 1945 la caserma (che era stata sede di una tenenza dei Carabinieri fino al 25 luglio 1944, data di scioglimento dell’Arma su ordine del comando germanico) era divenuta la sede dell’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza, il corpo di repressione appositamente creato dal fascismo per “infrenare l’azione terroristica delle bande slave e difendere l’italianità di queste terre” (questa la definizione data dall’ispettore generale Giuseppe Gueli, dirigente la struttura, in una missiva che indirizzò nel 1947 alla Corte speciale di Trieste quando non si presentò al processo che lo doveva giudicare per i crimini di cui si macchiò l’Ispettorato).
Dell’attività repressiva di questo corpo (noto anche come “banda Collotti”, dal nome del commissario Gaetano Collotti, comandante la “squadra volante” che si occupava specificatamente delle operazioni, rastrellamenti, arresti ed interrogatori, e di conseguenza anche delle violenze sui prigionieri) e dei crimini commessi dai suoi componenti abbiamo parlato svariate volte (si vedano gli articoli pubblicati nel nostro sito di cui indichiamo i link in calce); in questa sede ci limiteremo a parlare del trasferimento della struttura dalla prima sede in via Bellosguardo (una villa requisita alla famiglia israelita Arnstein) a quella di via Cologna.
Il 17 ottobre, a cura dell’Anpi provinciale sarà posta una targa a ricordo di coloro che furono imprigionati e torturati nella sede di via Cologna, alcuni dei quali poi trovarono la morte fucilati dai nazifascisti o nei campi di sterminio. Un ricordo particolare lo vorremmo dedicare a Maria Merlach, la trentatreenne partigiana Maja di Servola che, secondo il racconto di una sua compagna di prigionia, “era stata torturata con la macchina elettrica e disse che preferiva darsi la morte anziché avere a che fare con quella gente. Il giorno in cui vennero gli agenti per prenderla di nuovo e condurla all’Ispettorato, la Merlach in preda ad una convulsione nervosa, si mise a piangere fortemente e diceva povera me, pregate perché io muoio” (testimonianza di Ada Benvenuti, in archivio IRSMLT n. 914).
Probabilmente l’Ispettorato operò il trasloco in via Cologna perché la villa di via Bellosguardo era stata danneggiata nel corso di un bombardamento, e lo spostamento avvenne tra la fine di novembre ed i primi di dicembre del 1944.
Una testimonianza resa nel 1947 in sede istruttoria del processo a “Gueli e soci” dice che “gli abitanti delle case vicine alla Villa Trieste dove aveva sede l’Ispettorato (…) dal 15 giugno 1942 al dicembre del ‘44, sentivano di notte e di giorno grida di detenuti, uomini e donne seviziati” (archivio IRSMLT n. 914)
In un appunto dattiloscritto, redatto da un anonimo informatore del movimento di liberazione e datato 30/10/44 leggiamo che “l’Ispettorato è stato traslocato in via Cologna: è tuttora in corso di sistemazione” (in archivio dell’ANPI di Trieste busta 10); mentre l’agente Giuseppe Giacomini dichiarò, in sede processuale, che l’Ispettorato si trasferì in via Cologna “ai primi di dicembre” (archivio IRSMLT n. 914).
In molte testimonianze inserite nei fascicoli delle inchieste a carico di membri dell’Ispettorato condotte dal Tribunale militare di Ajdovščina (in Arhiv Slovenje, SI AS 1827 fascicolo 34) si legge che gli arrestati furono condotti in via Bellosguardo fino a tutto novembre 1944. In una di queste note leggiamo che il 27/11/44 gli agenti di Collotti Luciani e Cerlenco arrestarono Wilma Varich e la imprigionarono in via Bellosguardo, dove fu torturata, poi condotta al carcere dei Gesuiti e successivamente per 80 giorni nuovamente detenuta all’Ispettorato, però in via Cologna, prima di essere inviata al Coroneo e poi in Germania. Possiamo quindi presumere che il trasloco effettivo si svolse in dicembre e che per un certo periodo l’Ispettorato usò ambedue le sedi.
Possiamo qui inserire anche alcune annotazioni relativamente ad azioni della lotta partigiana. La prima è una testimonianza di Giorgio Marzi (raccolta nel luglio 2003), che ha narrato di un attentato fallito contro Gaetano Collotti. Nel 1944 il commissario abitava in via Piccardi ed ogni mattina un’automobile veniva a prenderlo per portarlo in via Bellosguardo. Un giorno dell’inizio di settembre un gruppo di gappisti aveva atteso che la macchina partisse con Collotti a bordo e la bloccò con un furgone prelevato alla ditta di pompe funebri Zimolo. Ma l’arma che doveva sparare si inceppò e l’attentato fallì. Secondo Marzi sarebbe stato proprio dopo questo attentato che l’Ispettorato decise il trasferimento da via Bellosguardo in via Cologna. Nella circostanza inoltre Collotti lasciò l’abitazione di via Piccardi e si stabilì, assieme alla propria convivente Pierina Martorelli, in un appartamento ricavato all’interno della caserma di via Cologna. Il commissario si recava ogni mattina a messa nella chiesa dei Gesuiti di via del Ronco, vicina a via Cologna, e ad un certo punto i GAP avevano pensato di organizzare un attentato proprio in chiesa, idea però subito accantonata per le ripercussioni che avrebbe potuto avere dal punto di vista politico.
Di un altro attentato che era stato progettato nella primavera del ‘45, ha parlato invece Nerino Gobbo (testimonianza raccolta nel dicembre 1998): l’idea era di passare attraverso le condotte fognarie partendo dalla zona della Rotonda del Boschetto, a due chilometri circa da via Cologna, e di piazzare dell’esplosivo sotto la sede dell’Ispettorato. Anche questa idea fu accantonata, sia perché le piogge primaverili avevano ingrossato i torrenti e di conseguenza reso impraticabili le condotte, ma soprattutto perché erano troppi i partigiani imprigionati nella caserma e l’esplosione avrebbe ucciso anche loro.
Con molta probabilità tutti gli arrestati nel corso dei rastrellamenti effettuati dall’Ispettorato da gennaio 1945 fino alla fine della guerra passarono per la caserma di via Cologna. Ricordiamo qui le operazioni di maggiore entità, riportando alcuni dei nomi che abbiamo rintracciato.
Tra il 27/12/44 ed il 2/1/45, in seguito ad un’operazione nella zona di Sottolongera furono arrestate le seguenti persone:
Carlo Grgič, nome di battaglia “Filtro”, operaio alla fabbrica di birra Dreher ed attivista dell’OF fu arrestato la sera del 27 dicembre 1944 alla trattoria Bellavista di Strada per Longera. Fu rilasciato quasi subito.
Bruno Kavčič classe 1922, arrestato il 31/12/44 in Strada per Longera, fu portato in via Cologna, interrogato e torturato fino al 15 aprile. Condotto al Coroneo, fu fucilato il 28/4/45 ad Opicina.
Kavčič Giuseppe, padre di Bruno, fu arrestato lo stesso giorno e portato in via Cologna, interrogato, torturato, dopo tre giorni fu trasferito ai Gesuiti e poi al Coroneo; il 24/2/45 fu inviato a Dachau dove morì il 18/4/45.
La madre di Bruno, Antonia Kavčič, fu arrestata l’1/1/45 nella casa della sorella dove era riparata dopo l’arresto del marito. Fu portata in via Cologna, poi imprigionata Gesuiti e al Coroneo. Il 24/2/45 fu inviata in Germania; liberata dagli inglesi rientrò a Trieste il 15/8/45.
A questi arresti avrebbero collaborato, secondo le accuse raccolte nel dopoguerra dal Tribunale militare di Ajdovščina, gli agenti Cerlenco, Luciani, Nussak e Soranzio.
Tra l’8 ed il 10 gennaio 1945 si svolse una grossa operazione di rastrellamento a Boršt (S. Antonio in Bosco). Furono uccisi tre attivisti del Fronte di liberazione. Ivan Grzetic (Žitomir), classe 1922, che era stato incaricato dalla VDV di organizzare i collegamenti radio; Stanko Gruden (Carlo), classe 1926 e Dušan Munih (Vojko, ma si trova anche come Darko), classe 1924, comandante dei servizi di sicurezza a Trieste. A questi bisogna aggiungere Danilo Petaros (Lisjak), nato a Boršt nel 1924, catturato dopo essere stato gravemente ferito, che risulta ucciso in Risiera il 5/4/45.
Uno degli arrestati era il sedicenne Jordan Zahar, che fu arrestato il 10 gennaio, condotto in via Cologna e torturato: “nel lungo corridoio della caserma di Collotti”, ricorda, “ci contarono e ci divisero; in mezzo giaceva Romano Rapotec, delirante di febbre, sulla sedia accanto a lui stava Danilo Pettirosso piegato in due per la ferita al ventre, attorno a loro sedici tra ragazze, donne e vecchi che fissavano in silenzio il vuoto accanto a sé”.
Zahar ha narrato anche un altro fatto: “nel dicembre del 1945 dovevo richiedere la carta d’identità, e l’ufficio che le rilasciava era situato in via Cologna, nell’ex sede dell’Ispettorato. Quando arrivai lì dentro e vidi che l’ufficio per le carte d’identità era stato sistemato proprio in una delle stanze in cui si torturava e che l’appendiabiti a cui era stato legato un mio compagno per essere torturato era nello stesso posto in cui si trovava otto mesi prima, mi sentii male, ero quasi deciso ad andarmene e rinunciare a richiedere i documenti. Vidi anche che due degli agenti di Collotti erano rimasti a lavorare lì, li avevano adibiti al servizio carte d’identità. Anche loro mi riconobbero, ma non ci dicemmo nulla” (testimonianza giugno 2002).
Il 13/3/45 un rastrellamento si svolse a Ricmanje (S. Giuseppe della Chiusa): furono arrestate una ventina di persone tra le quali il quattordicenne Bogdan Berdon. In quanto minorenne fu rinchiuso al Coroneo, e venne rilasciato il 20 aprile assieme alla diciottenne Maria Coretti, perché in occasione del “genetliaco” di Hitler, era uso delle autorità germaniche fare dimostrazione di “magnanimità”, liberando detenuti giovanissimi o donne.
Il 14/3/45 un’operazione svoltasi nella zona di Guardiella San Cilino portò all’arresto di Ruggero Haas e sua moglie Albina Brana, detenuti in via Cologna, poi al Coroneo e fucilati il 28/4/45 ad Opicina; anche la sorella di Ruggero, Emilia Haas fu arrestata, ma non fu deportata perché già gravemente malata, e morì qualche tempo dopo.
Il 21/3/45 un rastrellamento nella località di Longera causò la morte di quattro partigiani: Andrej Pertot (Hans), 44 anni, Pavel Petvar (Komandir Pavle), 22 anni, Angel Masten (Radivoj), 21 anni, Evald Antončič (Stojan), 21 anni. Quasi tutti gli abitanti del villaggio furono arrestati, molti di loro (non ne conosciamo il numero esatto) furono condotti in via Cologna e torturati. Tra essi le giovanissime Milka Čok e Meri Merlak, alla quale furono mostrate una serie di bare e fu detto che in una di esse era servita per una donna con il suo stesso nome (evidente il riferimento alla Maria Merlach che si uccise per le torture cui era stata sottoposta).
Anche alcuni esponenti del CLN italiano furono arrestati dall’Ispettorato e passarono per via Cologna. Tra essi ricordiamo: Paolo Blasi, redattore della stampa clandestina democristiana, arrestato il 9/2/45; Carlo Dell’Antonio, esponente del CLN, vicecomandante della divisione “Domenico Rossetti” ed a capo dell’ufficio informazioni militari della DC, arrestato verso metà febbraio ’45: sia Blasi, sia Dell’Antonio sarebbero evasi da via Cologna in circostanze non ben chiarite.
Inoltre furono detenuti in via Cologna: l’avvocato Ferruccio Lauri, arrestato il 15/1/45; i familiari (la moglie ed i due figli Alice e Sigfrido) di Mario Maovaz (il corriere del Partito d’Azione, arrestato il 16/1/45 e fucilato il 28/4/45). Alice Maovaz e sua madre dissero alla loro vicina di casa ed amica Maria Ursis, anch’essa imprigionata e poi torturata in via Cologna “che le avevano seviziate ed entrarono in particolari che mi facevano venire la pelle d’oca e che non avrei voluto sentire” (dal “Diario di prigione” di Maria Ursis, in archivio IRSMLT 908).
Infine in via Cologna avvenne l’incontro tra l’emissario della “missione Nemo” del Regno del Sud Luigi Podestà (collegato con il CLN triestino di don Marzari) ed il commissario Collotti, in seguito al quale i due svilupparono l’accordo che Podestà avrebbe informato Collotti sui movimenti della Resistenza jugoslava, mentre Collotti avrebbe aiutato Podestà nello “svolgimento del suo compito” fornendogli anche mezzi dell’Ispettorato, in modo tale da “far valere i suoi meriti all’arrivo degli Alleati” (dalla relazione redatta da Podestà in archivio IRSMLT 867).
In conclusione vorremmo ricordare che già la prima sede dell’Ispettorato, quella di via Bellosguardo, è stata demolita per lasciare spazio ad un complesso residenziale. Permettere che venga distrutta, assieme alla caserma di via Cologna, anche l’ultima memoria dei crimini dell’Ispettorato speciale sarebbe gravissimo, anche se coerente con le operazioni di cancellazione della memoria del nazifascismo e della Resistenza, in atto da anni nel nostro Paese.
Ci rivolgiamo pertanto ad amministratori, storici, a tutta la cittadinanza che è ancora sensibile a questi problemi, per chiedere che via Cologna rimanga di proprietà pubblica e diventi un punto di informazione, di memoria, come il museo di via Tasso a Roma, per fare sì che certi fatti non vengano dimenticati, per fare sì che non si ripetano mai più.

Ottobre 2010

LE 10 STRATEGIE DELLA MANIPOLAZIONE MEDIATICA

DI NOAM CHOMSKY
visionesalternativas.com

Il linguista Noam Chomsky ha elaborato la lista delle “10 Strategie della Manipolazione” attraverso i mass media.

1 - La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).



2 - Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema - reazione - soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3 - La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4 - La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

5 - Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

6 - Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l'emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell'analisi razionale e, infine, del senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti….

7 - Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori" (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

8 - Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti...

9 - Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!

10 - Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

Noam Chomsky
visionesalternativas.com.mx

LAVORO: SICUREZZA, APPELLO DAL 'BASSO' CONTRO SPOT MINISTERO ADERISCONO IDV TOSCANA, ART.21, SINDACALISTI CGIL, MEDICI E OPERAI

(ANSA) - ROMA, 2 OTT - Un appello dal 'basso' - con le prime firme raccolte tra operai, medici d'urgenza, sindacalisti e igiornalisti di articolo 21 - ha già raccolto quasi 200 firme, certificate ed autorevoli, per chiedere il ritiro degli spotpromossi dal ministero del Lavoro con lo slogan 'Sicurezza sul lavoro. La pretende chi si vuole bene', "colpevolmente" rivolto "solo ai lavoratori" e non anche ai datori di lavoro. "Dopo aver frantumato il Dlgs 81 del 2008 del Governo Prodi, hanno ben pensato di correggerlo con il decreto correttivo Dlgs 106/09 (sanzioni dimezzate a datori di lavoro e dirigenti, arresto in alcuni casi sostituito con l'ammenda) e ora il governo - dicono i promotori dell'appello - cerca di rifarsi la 'verginità con spot inutili che ci costano ben 9 milioni di euro". "Spot non solo inutili - spiegano i primi firmatari tra i quali Federico Cagnola, vigile del fuoco di Roma, Federico Orlando e Giuseppe Giulietti di articolo 21 - ma anche dannosi per l'immagine di chi ogni giorno rischia la vita, e non perchè‚gli piaccia esercitarsi in sport estremi". Gli spot in questione inoltre "colpevolizzano sottilmente il lavoratore stesso, nascondendo una realtà drammatica: l'attuale organizzazione del lavoro offre ben poche possibilità di ribellarsi a condizioni di lavoro sempre più precarie in tema di sicurezza". "E' una campagna vergognosa - prosegue l'appello sottoscritto anche da Nicola Tranfaglia e Daniele Ranieri responsabile salute e sicurezza della Cgil del Lazio - perchè‚ oggi il lavoratore ha ben poche possibilità di rispettare lo slogan 'Sicurezza: la pretende chi si vuole bene' e che nulla dice su chi deve garantire la sicurezza per legge, ovvero i datori di lavoro. Non accenna minimamente al fatto che i lavoratori sono sempre pi ù ricattabili e non hanno possibilità di scegliere ma solo sottostare a ritmi da Medio Evo".Questi spot - rilevano i firmatari tra i quali Marco Crociati macchinista Trenitalia, presidente della cassa di solidarietàdei macchinisti, e Luisa Memore, chirurgo d'urgenza dell'ospedale Mauriziano di Torino - "devono essere sostituitida una campagna di comunicazione che dovrà puntare sulle responsabilità civili, penali e anche etiche che l'imprenditore deve assumersi per tutelare l'integrita' delle persone che lavorano per lui". "Via questi spot vergognosi: pretendiamo pi ù ispettori Asl e pi risorse, affinchè la mattanza quotidiana dei lavoratori abbia fine", conclude l'appello firmato anche dall'intero gruppo Italia dei valori della Toscana. La prima firma in calce è quella di Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico toscano, seguita da quella di Andrea Bagaglio medico del lavoro e di Daniela Cortese della Rsu di Telecom Italia Sparkle.

Articolo 21.org