venerdì 31 dicembre 2010

Una modesta proposta


In questi giorni di chiusura del 2010 l’Italia ha trovato un nuovo vate nella figura del ministro Sacconi.

In due giorni ha espresso pensieri degni di un grande pensatore, sia sull’accordo fiat di Mirafiori, sia sulle nuove generazioni. L’ultima esternazione riguarda proprio il futuro dei giovani. “Disoccupazione tra giovani? Tra le cause anche i cattivi genitori" ha detto a Radio Rai 1 il ministro.
Infatti la colpa non è del sistema che non crea posti di lavoro, ma bensì delle famiglie che vedono nei figli la speranza che la loro vita possa migliorare cercando, attraverso lo studio una emancipazione e una crescita sociale. Ma secondo il pensiero del ministro, evidentemente non ha importanza quello che prevede la Costituzione italiana ossia di creare le condizioni per l’emancipazione dell’individuo attraverso l’istruzione e nel lavoro. Per il ministro deve continuare a esistere lo status quo. Se nasci figlio di un operaio devi fare l’operaio (sempre che l’industria italiana riesca a resistere a questo frangente di crisi economica) se nasci figlio di una commessa devi fare il commesso e via dicendo. Perciò effettivamente si capisce perché la scuola pubblica è stata devastata in questi anni, l’istruzione serve solo se si nasce nelle famiglie con lavori d’eccellenza avvocati, medici, ect ect.
In questi tempi di crisi temo che nasceranno figli da lavoratori disoccupati, e secondo il ragionamento del ministro mi domando. Ma questi bambini come futuro dovranno essere dei disoccupati?
Se diventeranno disoccupati temo un incremento della povertà con tutte le conseguenze per lo stato sociale se esisterà ancora tra qualche decennio. Allora ministro mi permetto di suggerirle questa soluzione, non recente, che fu proposta un secolo fa da un illustre scrittore J. Swift.
Chissà se potrà essere uno spunto per risolvere definitivamente il problema della disoccupazione e della povertà crescente nel nostro paese.

Paolo Corazza



J. Swift, Una modesta proposta
È cosa ben triste, per quanti passano per questa grande città o viaggiano per il nostro Paese, vedere le strade, sia in città, sia fuori, e le porte delle capanne, affollate di donne che domandano l’elemosina seguite da tre, quattro o sei bambini tutti vestiti di stracci, e che importunano cosí i passanti. Queste madri, invece di avere la possibilità di lavorare e di guadagnarsi onestamente da vivere, sono costrette a passare tutto il loro tempo andando in giro ad elemosinare il pane per i loro infelici bambini, i quali, una volta cresciuti, diventano ladri per mancanza di lavoro, o lasciano il loro amato Paese natio per andarsene a combattere per il pretendente al trono di Spagna, o per offrirsi in vendita ai Barbados.
Penso che tutti i partiti siano d’accordo sul fatto che tutti questi bambini, in quantità enorme, che si vedono in braccio o sulla schiena o alle calcagna della madre e spesso del padre, costituiscono un serio motivo di lamentela, in aggiunta a tanti altri, nelle attuali deplorevoli condizioni di questo Regno; e, quindi, chiunque sapesse trovare un metodo onesto, facile e poco costoso, atto a rendere questi bambini parte sana ed utile della comunità, acquisterebbe tali meriti presso l’intera società, che gli verrebbe innalzato un monumento come salvatore del paese.
Io tuttavia non intendo preoccuparmi soltanto dei bambini dei mendicanti di professione, ma vado ben oltre: voglio prendere in considerazione tutti i bambini di una certa età, i quali siano nati da genitori in realtà altrettanto incapaci di provvedere a loro, di quelli che chiedono l’elemosina per le strade.
Per parte mia, dopo aver riflettuto per molti anni su questo tema importante ed aver considerato attentamente i vari progetti presentati da altri, mi son reso conto che vi erano in essi grossolani errori di calcolo. é vero, un bambino appena partorito dalla madre può nutrirsi del suo latte per un intero anno solare con l’aggiunta di pochi altri alimenti, per un valore massimo di spesa non eccedente i due scellini, somma sostituibile con l’equivalente in avanzi di cibo, che la madre si può certamente procurare nella sua legittima professione di mendicante; ma è appunto quando hanno l’età di un anno che io propongo di provvedere a loro in modo tale che, anziché essere di peso ai genitori o alla parrocchia, o essere a corto di cibo e di vestiti per il resto della vita, contribuiranno invece alla nutrizione e in parte al vestiario di migliaia di persone.
Un altro grande vantaggio del mio progetto sta nel fatto che esso impedirà gli aborti procurati e l’orribile abitudine, che hanno le donne, di uccidere i loro bambini bastardi; abitudine, ahimè, troppo comune fra di noi; si sacrificano cosí queste povere creature innocenti, io credo, piú per evitare le spese che la vergogna, ed è cosa, questa, che muoverebbe a lacrime di compassione anche il cuore piú barbaro ed inumano.
Di solito si calcola che la popolazione di questo Regno sia attorno al milione e mezzo, ed io faccio conto che, su questa cifra, vi possano essere circa duecentomila coppie, nelle quali la moglie sia in grado di mettere al mondo figli; da queste tolgo trentamila, che sono in grado di mantenere i figli, anche se temo che non possano essere tante, nelle attuali condizioni di miseria; ma, pur concedendo questa cifra, restano centosettantamila donne feconde. Ne tolgo ancora cinquantamila, tenendo conto delle donne che non portano a termine la gravidanza o che perdono i bambini per incidenti o malattia entro il primo anno. Restano, nati ogni anno da genitori poveri, centoventimila bambini. Ed ecco la domanda: come è possibile allevare questa moltitudine di bambini, e provvedere loro? Come abbiamo già visto, nella situazione attuale questo è assolutamente impossibile, usando tutti i metodi finora proposti. Infatti non possiamo impiegarli né come artigiani, né come agricoltori, perché noi non costruiamo case (intendo dire in campagna), né coltiviamo la terra; ed essi possono ben di rado guadagnarsi da vivere rubando finché non arrivano all’età di sei anni, salvo che non posseggano doti particolari; anche se, lo debbo ammettere, imparano i rudimenti molto prima di quell’età. Ma in questo periodo essi possono essere considerati propriamente solo degli apprendisti, come mi ha spiegato un personaggio eminente della contea di Cavan; il quale appunto mi ha dichiarato che non gli capitò mai di imbattersi in piú di uno o due casi al di sotto dell’età di sei anni, pur in una parte del Regno tanto rinomata per la precocità in quest’arte.
I nostri commercianti mi hanno assicurato che i ragazzi e le ragazze al disotto dei dodici anni non costituiscono merce vendibile, e che anche quando arrivano a questa età non rendono piú di tre sterline o, al massimo, tre sterline e mezza corona, al mercato; il che non può recar profitto né ai genitori né al Regno, dato che la spesa per nutrirli e vestirli, sia pure di stracci, è stata di almeno quattro volte superiore.
Io quindi presenterò ora, umilmente, le mie proposte che, voglio sperare, non solleveranno la minima obiezione.
Un Americano, mia conoscenza di Londra, uomo molto istruito, mi ha assicurato che un infante sano e ben allattato all’età di un anno è il cibo piú delizioso, sano e nutriente che si possa trovare, sia in umido, sia arrosto, al forno, o lessato; ed io non dubito che possa fare lo stesso ottimo servizio in fricassea o al ragú.
Espongo allora alla considerazione del pubblico che, dei centoventimila bambini già calcolati, ventimila possono essere riservati alla riproduzione della specie, dei quali sono un quarto maschi, il che è piú di quanto non si conceda ai montoni, ai buoi ed ai maiali; ed il motivo è che questi bambini sono di rado frutto del matrimonio, particolare questo che i nostri selvaggi non tengono in grande considerazione, e, di conseguenza, un maschio potrà bastare a quattro femmine. I rimanenti centomila, all’età di un anno potranno essere messi in vendita a persone di qualità e di censo in tutto il Regno, avendo cura di avvertire la madre di farli poppare abbondantemente l’ultimo mese, in modo da renderli rotondetti e paffutelli, pronti per una buona tavola. Un bambino renderà due piatti per un ricevimento di amici; quando la famiglia pranzerà da sola, il quarto anteriore o posteriore sarà un piatto di ragionevoli dimensioni e, stagionato, con un po’ di pepe e sale, sarà ottimo bollito al quarto giorno, specialmente d’inverno.
Ho calcolato che, in media, un bambino appena nato venga a pesare dodici libbre e che in un anno solare, se nutrito passabilmente, arrivi a ventotto.
Ammetto che questo cibo verrà a costare un po’ caro, e sarà quindi adattissimo ai proprietari terrieri, i quali sembra possano vantare il maggior diritto sui bambini, dal momento che hanno già divorato la maggior parte dei genitori.
La carne di bambino sarà di stagione per tutta la durata dell’anno, ma sarà piú abbondante in marzo, e un po’ prima dell’inizio e dopo la fine di quel mese. Ci informa infatti un autore serissimo [Rabelais], eminente medico francese, che, essendo il pesce una dieta favorevole alla prolificità, nei paesi cattolici ci sono piú bambini nati circa nove mesi dopo la Quaresima di quanti non ce ne siano in qualunque altro periodo dell’anno; di conseguenza, un anno dopo la Quaresima il mercato sarà piú fornito del solito, perché il numero dei bambini dei Papisti è almeno di tre contro uno, in questo paese; ricaveremo quindi parallelamente un altro vantaggio, quello di far diminuire il numero dei Papisti in casa nostra.
Ho già calcolato che il costo di allevamento per un infante di mendicanti (nella quale categoria faccio entrare tutti i contadini, i braccianti ed i quattro quinti dei mezzadri) è di circa due scellini all’anno, stracci inclusi; ed io penso che nessun signore si lamenterà di pagare dieci scellini il corpo di un bambino ben grasso che, come ho già detto, può fornire quattro piatti di ottima carne nutriente per quando abbia a pranzo qualche amico di gusti difficili, da solo o con la famiglia. Il proprietario di campagna imparerà cosí ad essere un buon padrone ed acquisterà popolarità fra gli affittuari, la madre avrà dieci scellini di profitto netto e sarà in condizione di lavorare finché genererà un altro bambino.
I piú parsimoniosi (ed io confesso che la nostra epoca ne ha bisogno) potrebbero scuoiare il corpo, la cui pelle, trattata artificialmente, dà meravigliosi guanti per signora e stivaletti estivi per signori eleganti.
Per quanto concerne la nostra città di Dublino, nelle parti piú acconce, potrebbero apprestarsi mattatoi per codesta bisogna; e possiamo star certi che non mancheranno i macellai; anche se io vorrei raccomandare di comperar vivi i bambini e di prepararli caldi, appena finito di usare il coltello, come si fa per arrostire i maiali.
Una degnissima persona, che ama veramente il suo Paese, e le cui virtú tengo in grande considerazione, si compiacque di recente, parlando di questo argomento, di suggerire un perfezionamento al mio progetto. Egli diceva che, dal momento che molti gentiluomini del Regno in questi ultimi tempi hanno distrutto la selvaggina, pensava che sarebbe stato possibile ovviare alla mancanza di cacciagione procurando corpi di giovinetti e fanciulle non al di sopra dei quattordici anni e non al di sotto dei dodici: dato che tanto sono quelli, sia dell’uno che dell’altro sesso, che sono avviati a morire di fame per mancanza di lavoro o di assistenza: ed i genitori, se ancora in vita, oppure i parenti piú prossimi, sarebbero ben lieti di liberarsi di loro. Tuttavia, pur con tutta la deferenza per un cosí eccellente amico e per un patriota di tanto merito, non posso essere completamente d’accordo con lui. Per quanto riguarda i maschi, un Americano di mia conoscenza, che ha avuto modo di farne esperienza frequente, mi ha assicurato che la carne era generalmente magra e coriacea come quella dei nostri scolari, a cagione del troppo esercizio fisico, e che il sapore era sgradevole e non valeva la pena di ingrassarli. Per quanto riguarda le femmine poi, io sono umilmente del parere che in questo modo si procurerebbe un danno alla comunità intera, perché tra breve esse sarebbero divenute feconde. D’altra parte non improbabile che persone scrupolose possano criticare severamente una pratica di questo genere (benché del tutto ingiustamente, com’è ovvio), considerandola come qualcosa che rasenti la crudeltà; e confesso che, nel caso mio, questa è sempre stata la piú forte obiezione ad ogni progetto, anche se presentato con le migliori intenzioni.
Ma debbo dire, a giustificazione del mio amico, che egli mi confessò che questo espediente gli fu suggerito dal famoso Salmanazar, nativo dell’isola di Formosa, il quale venne a Londra piú di venti anni fa e, parlando con lui, gli disse che al suo Paese, quando accadeva che qualche giovane fosse condannato a morte, il boia vendeva il cadavere a qualche personaggio importante, come leccornia di prima qualità, e che, ai suoi tempi, il corpo di una ragazza paffutella sui quindici anni, che era stata crocifissa per tentato avvelenamento del re, era stato venduto al primo ministro di Sua Maestà Imperiale e ad altri grandi mandarini della corte, a fette, appena tolta dalla forca, per quattrocento corone. Effettivamente, non posso negare che se si facesse la stessa cosa con parecchie ragazze ben nutrite di questa città, le quali, senza un soldo in loro possesso, non vanno fuori di casa se non in portantina, e si fanno vedere a teatro ed alle riunioni coperte di abiti vistosi venuti dall’estero, che non saranno mai loro a pagare, il Regno non andrebbe certo avanti peggio di ora.
Alcune persone, portate allo scoraggiamento, si preoccupano molto della grande quantità di poveri in età avanzata, ammalati e storpi, e mi si è chiesto di indirizzare le mie riflessioni alla ricerca di metodi atti a sollevare la nazione di un peso tanto gravoso. Però questa faccenda non mi preoccupa punto, perché è noto che muoiono e vanno in putrefazione ogni giorno per freddo e fame, per la sporcizia ed i pidocchi, con una rapidità che si può considerare ragionevole. Quanto ai braccianti piú giovani, va detto che la loro attuale situazione non offre maggiori speranze. Non possono trovare lavoro e, di conseguenza, deperiscono per mancanza di nutrizione, a tal segno che, se viene loro affidato un qualsiasi comune lavoro, non sono in grado di farlo: e cosí il Paese e loro stessi vengono ad essere felicemente liberati dei mali a venire.
La digressione è stata troppo lunga, e quindi ora torno al mio argomento. Io ritengo che i vantaggi offerti dalla mia proposta siano molti e piú che evidenti, ed anche della massima importanza.
Primo: come ho già osservato, diminuirebbe enormemente il numero dei Papisti dai quali siamo infestati annualmente, dato che, nella nazione, sono quelli che fanno piú figli, oltre ad essere i nostri nemici piú pericolosi; e se restano in Patria, lo fanno di proposito, per consegnare il Regno al Pretendente, sperando di trarre vantaggio dall’assenza di tanti buoni protestanti, che hanno preferito abbandonare il loro Paese piuttosto che starsene a casa a pagare le decime contro coscienza ad un coadiutore del vescovo.
Secondo: i poveri affittuari avranno dei beni di loro proprietà che, per legge, potranno essere resi suscettibili di sequestro ed aiutare a pagare l’affitto al padrone, dal momento che grano e bestiame sono già stati confiscati ed il denaro è cosa del tutto sconosciuta.
Terzo: previsto che il mantenimento di circa centomila bambini dai due anni in su non può essere calcolato di un costo inferiore a dieci scellini l’anno per ogni capo, il patrimonio della nazione aumenterà in questo modo di cinquantamila sterline l’anno, senza tener conto della nuova pietanza introdotta nelle mense di tutti i signori del Regno che siano di gusti raffinati; ed il denaro circolerà fra di noi, essendo l’articolo completamente di nostra produzione e lavorazione.
Quarto: i produttori regolari, oltre al guadagno di otto scellini buoni, ottenuti annualmente con la vendita dei bambini, si libereranno del peso di mantenerli dopo il primo anno di età.
Quinto: questa nuova pietanza porterà anche molti consumatori alle taverne, e gli osti avranno certamente la precauzione di procurarsi le migliori ricette per prepararla alla perfezione; quindi i loro locali saranno frequentati da tutti i signori di rango, che giustamente vengono valutati in base alla conoscenza che hanno della buona cucina; ed un cuoco esperto, che sappia come conquistarsi il favore della clientela, farà in modo di mantenere un prezzo che li saprà soddisfare.
Sesto: si avrebbe un grande incoraggiamento al matrimonio, che tutte le nazioni di buon senso hanno cercato di favorire con premi, o imposto con leggi ed ammende. Aumenterebbe la cura e la tenerezza delle madri per i bambini, quando fossero sicure di una sistemazione certa sin dall’inizio, e procurata in qualche modo dalla comunità a loro annuo profitto, anziché, a loro carico; e ben presto avremmo modo di vedere un’onesta emulazione fra le donne sposate nel portare al mercato il bambino piú grasso. Gli uomini, durante la gravidanza della moglie, le sarebbero affezionati tanto quanto lo sono ora alla cavalla, alla mucca o la scrofa prossima a figliare, né la minaccerebbero di pugni e di calci (cosa purtroppo frequente nella pratica), per timore di un aborto.
Potrebbero elencarsi molti altri vantaggi. Ad esempio, l’aumento di qualche migliaio di esemplari nella nostra esportazione di manzo in barile, la maggior diffusione della carne di porco, ed un miglioramento nell’arte di fare il buon prosciutto che si trova in quantità tanto scarsa a cagione del grande consumo che facciamo di maialini da latte, una pietanza troppo frequente nelle nostre mense che tuttavia non è neppure alla lontana paragonabile, sia per il sapore sia per la figura che fa, a quella fornita da un bambino di un anno, grasso e ben pasciuto: il quale, arrostito intero, farà una splendida figura alla festa del sindaco della città o a qualsiasi altro ricevimento pubblico. Ma questo ed altro voglio tralasciare, preoccupandomi di esser conciso.
Supponendo che mille famiglie in questa città comperino costantemente carne di bambino, in aggiunta ad altri che potrebbero acquistarla in liete circostanze, particolarmente per i matrimoni e per i battesimi, calcolo che Dublino consumerebbe annualmente circa ventimila esemplari, ed il resto del Regno (in cui probabilmente verrebbe venduta ad un prezzo lievemente inferiore) i rimanenti ventimila.
Io non prevedo obiezione possibile alla mia proposta, a meno che non si insista nel dire che la popolazione del Regno in questo modo dimunuirebbe notevolmente. Lo ammetto ben volentieri, ed è questo, di fatto, uno degli scopi principali della mia proposta. Prego il lettore di osservare che il mio rimedio è destinato soltanto ed unicamente a questo Regno d’Irlanda e a nessun altro che sia mai esistito, che esista o abbia ad esistere nel futuro sulla terra. Che quindi non mi si parli di altri espedienti: di tassare di cinque scellini la sterlina i proprietari che non si curano delle loro terre; di non usare abiti o mobili di casa che non siano di nostra produzione e lavorazione; di respingere tutti i materiali e gli strumenti che favoriscano il lusso straniero; di guarire le nostre donne dalla mania delle spese che fanno per orgoglio, vanità, pigrizia e passione del gioco; di introdurre una vena di parsimonia, prudenza e temperanza; di imparare ad amare il nostro Paese, cosa in cui siamo diversi persino dai Lapponi e dagli abitanti di Topinambu; di abbandonare la nostra animosità e la faziosità, e di non comportarci piú come gli Ebrei, che si scannavano l’un l’altro persino nel momento in cui la loro città veniva presa; di stare un po’ piú attenti a non vendere il nostro Paese e la nostra coscienza per niente; di insegnare ai proprietari ad avere almeno un po’ di pietà per i loro affittuari. Infine, di far entrare un po’ di onestà, di operosità e di capacità nello spirito dei nostri bottegai i quali, se potesse ora esser presa la decisione di comprare soltanto merce nostra, si unirebbero immediatamente per imbrogliarci e ricattarci sul prezzo, sulla misura e sulla qualità, né si sono mai potuti indurre a fare qualche proposta commerciale onesta e decente, nonostante siano stati spesso e calorosamente invitati.
Pertanto, ripeto, che nessuno venga a parlarmi di questi espedienti o di altri del genere, finché non abbia almeno un barlume di speranza che vi possa essere qualche generoso e sincero tentativo di metterli in pratica.
Quanto a me, stanco com’ero di offrirvi utopie inutili ed oziose, alla fine disperavo ormai del successo: quando per fortuna mi è venuta in mente questa proposta che, essendo interamente nuova, presenta alcunché di solido e di concreto, è di nessuna spesa e di poco disturbo, rientra pienamente nelle nostre possibilità di attuazione, e non fa correre il rischio di recar torto all’Inghilterra. Infatti questo tipo di merce non tollera l’esportazione, perché la carne è di consistenza troppo tenera per consentire una lunga durata nel sale; anche se forse io potrei nominare un Paese che sarebbe ben contento di mangiarsi per intero tutta la nostra nazione anche senza questo condimento.
Dopo tutto, non sono cosí tenacemente avvinto alla mia idea da rifiutare qualsiasi proposta che venga fatta da persone di buon senso, che sia altrettanto innocente, facile da mettersi in pratica, efficace e di poco costo. Ma prima che qualcosa del genere venga presentato in concorrenza con il mio progetto, offrendo qualcosa di meglio, desidero che l’autore, o gli autori, abbiano la cortesia di ponderare a lungo due punti. Primo: stando le cose come stanno, come potranno trovare cibo e vestiti per centomila bocche e spalle inutili. Secondo: esiste in questo Regno circa un milione di creature in sembianze umane, le quali, pur mettendo insieme tutti i loro mezzi di sussistenza, resterebbero con un debito di due milioni di sterline; mettiamo i mendicanti di professione insieme con la massa di agricoltori, braccianti e giornalieri che, con le loro donne ed i bambini, sono mendicanti di fatto: ed io invito quei politici, ai quali non garba il mio progetto, e che forse avranno il coraggio di azzardare una risposta, ad andare a chiedere prima di tutto ai genitori di questi mortali se non pensino, oggi come oggi, che sarebbe stata una grande fortuna quella di essere andati in vendita come cibo di qualità all’età di un anno, alla maniera da me descritta, evitando cosí tutta una serie di disgrazie come quelle da loro patite, per l’oppressione dei padroni, l’impossibilità di pagare l’affitto senza aver denaro o commerci di qualche sorta, la mancanza dei mezzi piú elementari di sussistenza, di abitazione e di abiti per ripararsi dalle intemperie, con la prospettiva inevitabile di lasciare per sempre in eredità alla loro discendenza questi medesimi triboli, se non peggiori.
Dichiaro con tutta la sincerità del mio cuore che non ho il minimo interesse personale a cercar di promuovere quest’opera necessaria e che non sono mosso da altro motivo che il bene generale del mio Paese, nel miglioramento dei nostri commerci, nell’assistenza ai piccoli e l’aiuto ai bisognosi, e nella possibilità di offrire qualche piacevole passatempo agli abbienti. Io non ho bambini dai quali posso propormi di ricavare qualche soldo: il piú piccolo ha nove anni, e mia moglie ha ormai passata l’età di averne ancora.
(J. Swift, Una modesta proposta e altre satire, Rizzoli, Milano, 19832, pagg. 135-159)

SIAMO TUTTI PASTORI SARDI

Tentare di approdare sul territorio italiano che sia sbarcando da un barcone come clandestini o richiedenti asilo o da una nave di linea come cittadini che vogliono manifestare liberamente, è impresa ardua e soprattutto pericolosa, da reprimere preventivamente con la forza. Nessuna ragione di ordine pubblico può spiegare quello che è avvenuto a Civitavecchia, dove potenziali manifestanti sono stati preventivamente bloccati con la forza dalla polizia e sequestrati. Non si è trattato di sedare i soliti disordini di una manifestazione, si è andati oltre: si è impedito a donne, uomini, bambini e anziani di salire su pullman da loro prenotati e sui treni, si sono confinate queste persone in uno spazio ledendo le più elementari norme di libertà e democrazia, il tutto con l'uso della forza, della violenza, della costrizione fisica. In un batter d'occhio si sono stralciati tre diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione: il diritto per ogni cittadino di circolare liberamente in tutto il territorio nazionale; il diritto di riunirsi pacificamente e senza armi; il diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero. I pastori sardi non erano black block con il volto coperto: erano e sono lavoratori che vivono sulla loro pelle la drammaticità di una crisi devastante. E' come se ad essere presi a manganellate fossimo stati ognuno di noi: quanto è accaduto deve preoccupare tutti perché è un ulteriore pesantissimo passo indietro rispetto alla concezione dei diritti civili, sempre più lontana dalla cultura di libertà su cui si fonda la nostra democrazia costituzionale. Ma non si chiama “dittatura” l'ordinamento in cui diventa impossibile esprimere il proprio pensiero critico e il proprio dissenso politico. Un Governo che risponde con la violenza ai problemi sociali non è (più) un governo democratico. 

Mariangela Mombelli

domenica 26 dicembre 2010

Noi, operai Thyssen abbandonati da tutti

Lettera dei 13 lavoratori che si sono costituiti parte civile: "Ci è stato negato il lavoro perché siamo visti come scomodi. Nessuno di coloro che ci dichiarano solidarietà fa nulla di concreto"

TORINO - Si sentono abbandonati da enti locali e politici i 13 lavoratori della Thyssenkrupp che si sono costituiti parte civile e che non sono ancora stati ricollocati sul lavoro. Insieme hanno chiesto per lunedì 27 dicembre un incontro in Regione Piemonte al fine di chiedere che venga prolungato per loro il periodo di cassa integrazione in deroga, "come previsto dagli accordi tra Azienda e Enti locali", dicono in una nota. "Ci è stato negato il lavoro - spiegano - in quanto siamo visti come 'scomodi' per la nostra presa di posizione contro la multinazionale tedesca, ma anche a causa della colpevole assenza delle Istituzioni, a tutti i livelli".

I 13 operai Thyssen dicono di sentirsi abbandonati da tutti. Dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, dichiarano in una nota "che dopo il commovente discorso di fine anno del 2007 dedicato ai 7 operai morti alla ThyssenKrupp e tante promesse, nulla ha fatto per migliorare la situazione della sicurezza nei luoghi di lavoro facendo valere il peso del suo ruolo sulla politica".

Dal nuovo presidente della Regione Cota, "che - si legge - sbandiera ai quattro venti un programma tutto incentrato sulla difesa dei posti di lavoro per i lavoratori del Piemonte, noi ci chiediamo a quali lavoratori si riferisce e come lo sta attuando, con una nuova ricetta Fiat?". Dal Comune di Torino "che nelle persone del sindaco Chiamparino e del suo vice Tom Dealessandri, ci ha del tutto ignorato".

Una situazione "paradossale", secondo
i 13 lavoratori: "Gli stessi enti locali che hanno sottoscritto gli accordi che prevedono la ricollocazione per tutti i lavoratori e che si sono costituiti parte civile nel processo al fianco degli operai, ci hanno poi completamente abbandonati".
(25 dicembre 2010) 

Mirafiori, dicembre 2010.

Art. 1 “L'Italia è una repubblica democratica fondata sul LAVORO”
Art. 39 “L'organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici centrali o locali, secondo le norme di legge”


Dopo quello di Pomigliano, anche a Mirafiori arriva l'accordo separato, senza la firma della FIOM: meno diritti per tutti, saltano anche gli accordi sulla rappresentanza sindacale. Chi non firma, non avrà più rappresentanza sindacale, che sarà concessa soltanto alle sigle che hanno sottoscritto l'accordo. Quindi quando nascerà la joint venture Fiat Chrysler, la Fiom dovrà rimanere fuori, spariranno le Rsu (i delegati eletti dai lavoratori) resteranno le Rsa, non elette, ma nominate dai sindacati favorevoli all'intesa. Sarà quindi l'azienda a decidere quali organizzazioni sindacali dovranno essere rappresentate: quella “libertà” sancita dalla Costituzione viene di fatto subordinata alla volontà dell'impresa, con un altro attacco allo Statuto dei Lavoratori.
E l'accordo/regalo di Natale 2010 di Babbo Marchionne prevede turni all'occorrenza di 10 ore sulla linea di montaggio ordinati a discrezione dall'azienda, primi giorni di malattia non retribuiti, 120 ore di straordinario invece delle 40 previste dal contratto, pause ridotte di dieci minuti.
Sconvolge constatare come oggi nel nostro Paese sia sempre la regressione piuttosto che il progresso a scandire la nostra esistenza... 

Mariangela Mombelli

sabato 25 dicembre 2010

SONO INCAZZATO NERO E TUTTO QUESTO NON L’ACCETTO PIU’.


Nel 1975 uscì Quinto potere, un film dedicato al potere mediatico della televisione. Dove un cronista ripeteva questo tantra illustrando i fatti quotidiani della politica americana e la sua emittente giorno dopo giorno guadagnava ascolti sulle emittenti concorrenti. Come una parabola al momento del calo degli ascolti il cronista veniva ucciso in diretta.

A distanza di anni perché riproporre questa frase, in questo periodo di feste dove si festeggia il natale e si spera nel nuovo anno?

Perché come ogni anno i mezzi di informazione riproporranno i fatti salienti del 2010 e sicuramente proporranno i fatti di cronaca e di costume meno importanti.

Ma non evidenzieranno sicuramente gli avvenimenti dove dovremmo ripetere

SONO INCAZZATO NERO E TUTTO QUESTO NON L’ACCETTO PIU’.

Questo è stato un anno caratterizzato dalle lotte dei lavoratori, più o meno pubblicizzate dai media; lotte “famose” dove per l’ennesima volta si è vista la spaccatura del sindacato vedi Pomegliano e Mirafiori, dove sono stati siglati accordi con solo una parte dei sindacati. Accordi ricatto dove la scelta era solo quella di o accetti le mie condizioni o chiudo la fabbrica.

SONO INCAZZATO NERO E TUTTO QUESTO NON L’ACCETTO PIU’.

Non si possono cancellare anni di lotte per la conquista dei diritti sindacali, per una qualità di un lavoro migliore nell’interese di tutti sia dei lavoratori che delle aziende.
Non possono passare sotto silenzio tutte le forze lavoratrici licenziate perché le aziende preferiscono produrre all’estero con costi del lavoro minori rispetto a quelli italiani (ma sarà poi vero che il costo del lavoro in Italia è così alto rispetto all’estero?). Le lotte dei lavoratori sardi autoesiliatisi sull’isola della Maddalena per mesi per difendere il loro posto di lavoro, le dipendenti dell’OMSA, i lavoratori del settore ceramiche nel modenese e quante altre fabbriche sono nelle stesse situazioni e di cui non viene data notizia se non a livello locale? Che futuro si potranno aspettare dal nuovo anno una volta finiti gli ammortizzatori sociali?

SONO INCAZZATO NERO E TUTTO QUESTO NON L’ACCETTO PIU’.

Cosa produce, visto che si parla di lavoro, la politica in Italia? La terza carica dello stato il Presidente del Senato Schifani, nell’incontro coi giornalisti di fine anno ha parlato della legge elettorale sottolineando il fatto che la Costituzione prevede il sistema proporzionale per l’elezione dei rappresentanti alla Camera e al Senato. Una vera contraddizione visto che la nostra legge elettorale prevede invece un sistema maggioritario con PREMIO di maggioranza alla lista che ottiene più voti. Per risolvere la contraddizione chiede venga realizzata una riforma costituzionale.
Ma visto che la nostra Costituzione dovrebbe essere la guida per la crazione delle leggi, perché non si cambia invece questa vergognosa legge che lo stesso ministro Calderoli (la legge porta il suo nome) ha definito una porcata? E perché questa legge è passata mentre nel lontano 1948 la stessa Democrazia Cristina ne propose una simile ribattezzata Legge Truffa che premiava, a differenza dell’attuale, chi raggiungeva il 50% più 1 dei voti e grazie alle opposizioni di allora rimase solo sulla carta?

SONO INCAZZATO NERO E TUTTO QUESTO NON L’ACCETTO PIU’.

In questi giorni è passata la riforma Gelmini ultimo tassello della devastazione della scuola italiana, in questo momento di crisi a livello europeo tutti i governi hanno aumentato i finanziamenti alla ricerca e alla scuola, da noi a partire dal 2001 si è visto un taglio drastico dei finanziamenti alla ricerca e alla scuola statale. Dopo il varo della epocale riforma come è stata definita dal governo, finalmente hanno accettato di parlare con le parti interessate, studenti e docenti. Ministra Gelmini, scusi, ma cosa serve discutere di una riforma come la sua dopo averla approvata? Non è già  legge?

SONO INCAZZATO NERO E TUTTO QUESTO NON L’ACCETTO PIU’.


A novembre è uscita la sentenza definitiva di Piazza della Loggia, e come accade in Italia, nessun colpevole, come al solito i morti di quella strage erano al posto sbagliato nel momento sbagliato. Questo vale per tutte le stragi avvenute in Italia, Piazza Fontana, Il DC9 di Ustica, La stazione di Bologna. Morti, tantissimi morti, solo perché erano nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Sono  anni che i familiari delle vittime chiedono giustizia, chiedono che sia tolto il segreto di stato e si possa finalmente arrivare alla verità. Ma nel palazzo del potere, nonostante in questi anni si sono succeduti governi sia di destra che di sinistra, non si è mai data una risposta alle loro istanze, forse sperando che il solito oblio della memoria che fa parte del nostro dna di italiani abbia il sopravvento.

SONO INCAZZATO NERO E TUTTO QUESTO NON L’ACCETTO PIU’.

Già memoria, noi siamo un popolo che non conosce la propria storia, sia in grado di ricordare la formazione di una squadra di calcio in un particolare anno, ma a domande tipo chi fece l’attentato alla stazione di Bologna i giovani rispondono le BR. Ma non è solo la formazione che crea questi buchi neri. Anche i programmi radiofonici o televisivi contribuiscono a creare informazione sbagliata. Mi è capitato di ascoltare per radio Barbara Palombelli nella sua trasmissione 28 minuti del 20 dicembre scorso parlare della marcia su Roma, e parlava dei fascisti come ragazzi scalmanati, ma la signora Palombelli è mai venuta nella nostra regione? Ha mai parlato con i nipoti di quei martiri ammazzati mentre questi ragazzi scalmanati marciavano allegramente verso Roma? Ha mai sentito raccontare delle sedi della Lega bruciate con dentro le persone? Magari se avesse parlato anche con gli eredi di Emilio Bassi bracciante agricolo, a causa delle sue posizioni politiche, venne aggredito e barbaramente assassinato da appartenenti a 'squadre fasciste' alla presenza della moglie e dei suoi due figlioli, forse avrebbe scoperto che quei ragazzi non erano solo scalmanati ma anche degli assassini che tennero in mano l’Italia per un ventennio.

SONO INCAZZATO NERO E TUTTO QUESTO NON L’ACCETTO PIU’.

Non  lasciamo che la rassegnazione, il credere che non ci sia più speranza per il futuro, prendano il sopravvento. Nei giorni precedenti al natale i giovani hanno dato una grande dimostrazione, di non rassegnazione, di proposte politiche, di speranza per il futuro. Tutto questo mentre la politica si asseragliava assediata nella sua zona rossa lontana dalla gente, lontana dagli elettori che, nonostante li abbiano scelti su indicazioni delle segreterie dei partiti, li ha votati. Politici sempre più lontani dalla realtà della società civile, lontani dalla sofferenza dell’esistenza quotidiana in fabbrica, nei campi, negli ospedali, della cultura, delle persone anziane sole.


E siamo noi a far bella la luna con la nostra vita coperta di stracci e sassi di vetro.
Quella vita che gli altri ci respingono indietro come un insulto, come il ragno in una stanza.
Ma riprendiamola in mano, riprendiamola intera, riprendiamoci la vita, la terra, la luna e l’abbondanza.


Claudio Lolli in una sua canzone, cantava queste strofa riprendiamo anche noi la nostra vita e per questo uniamoci nell’urlare

SONO INCAZZATO NERO E TUTTO QUESTO NON L’ACCETTO PIU’.

Paolo Corazza

LA SCURE SUL FUTURO.

La riforma Gelmini dell'Università è diventata legge, almeno nei suoi presupposti ideologici perché la sua attuazione prevede partite ancora aspre da giocare. Dal Sabattini Coletti della lingua italiana: VIOLENZA: tendenza all'uso della forza, aggressività, carattere aggressivo di un atto. Per le modalità con cui nel contesto politico e sociale è stata approvata, la legge Gelmini è una legge violenta, è una legge fascista, una legge che vendica.. “abbiamo abolito il '68” ha affermato la Mariastella all'atto dell'approvazione. Perché il '68 fa ancora paura ad un potere che uccide il futuro; che imprigiona la conoscenza dentro gabbie di privilegio; che trasforma il diritto allo studio in un bene da acquistare al mercato della competitività e della meritocrazia intese come asservimento e divisione che muovono l'ideologia liberista; che pensa i cittadini unicamente come elementi e funzioni di mercato e non attori della società. Il ddl Gelmini è un atto violento nei confronti della società intera e non solo del mondo universitario, basta solo riflettere sul senso del “futuro”. Uno degli slogan più sentiti nelle manifestazioni dei giovani di questi giorni è “Non rubateci il futuro”... ma il futuro non è soltanto dei giovani, è il giorno dopo di ognuno noi, quando ci svegliamo e ci rendiamo conto di aver perso un pezzo di democrazia... a Mirafiori, a Pomigliano, sulla gru di Brescia o sulla torre di Milano, negli sgomberi dei campi rom, nei tagli alla scuola, ai servizi, all'editoria... Non ci resta che “resistere” ancora. 

Mariangela Mombeli

giovedì 16 dicembre 2010

L’ESISTENZA NON PUO’ ESSERE UNA QUESTIONE DI PUNTI


Da giovedì 9 dicembre per l’ottenimento del permesso di soggiorno CE per gli stranieri, che dà diritto a stare in Italia a tempo indeterminato, oltre alle varie barriere burocratiche vecchie e nuove, si aggiunge l’obbligo di provare la conoscenza della lingua italiana al livello A2 attraverso il superamento di un test. Premesso che non contestiamo aprioristicamente l’apprendimento della lingua italiana, occorre però riflettere sul fatto che la conoscenza di una lingua e la sua verifica attraverso i test assumono oggi il ruolo di strumenti di potere: dal risultato ottenuto in un test dipenderà la possibilità di continuare a vivere e a lavorare nel nostro Paese. La lingua diventa una barriera d’accesso, un paradosso rispetto alla funzione stessa della lingua che è un elemento fondatore di identità attraverso l’interazione sociale. Un paradosso rispetto anche alla società attuale, complessa, caratterizzata dal contatto continuo tra persone provenienti da comunità che parlano lingue diverse. Gramsci e don Milani hanno dimostrato che la lingua, anche per chi la possiede come lingua madre, può essere utilizzata istituzionalmente a costruire steccati che limitano i diritti fondamentali all’espressione. Per poter stabilire rapporti sociali, è necessario saper comunicare in maniera adeguata: in questo senso l’azione istituzionale nelle società avanzate – ed è quello che avviene negli altri Paesi europei dove la richiesta della conoscenza della lingua è preceduta da un’offerta formativa linguistica adeguata, sistematica e strutturata – DEVE creare le condizioni, le opportunità, le strutture per istruirsi e quindi anche per apprendere la lingua del Paese dove si emigra. In Italia prevale invece l’uso della lingua come filtro, come strumento di esclusione. Di offerta formativa linguistica nel DM che i test di verifica della conoscenza della lingua, non si parla affatto: si presume quindi che l’apprendimento continuerà ad essere frammentario, legato all’emergenza, nulla si propone per fornire agli immigrati reali strumenti di conoscenza della nostra lingua e della nostra cultura.  Un altro passo verso il famigerato Permesso di soggiorno a punti, un meccanismo allucinante che fornisce “crediti” ai migranti non solo in base ai requisiti di reddito, alloggio, fedina penale illibata, ma anche in base agli stili di vita, capacità di apprendimento, condizioni culturali e soggettive che si scontrano con una realtà economica e sociale nella quale è sempre più difficile inserirsi. La lingua non può fare la differenza: sappiamo che una società veramente libera e meticcia si costruisce attraverso un processo di conoscenza reciproca e non unilaterale, indispensabile a sconfiggere pregiudizi e diffidenze. Trasformare l’apprendimento della lingua italiana ad una condizione alla quale subordinare l’ottenimento di diritti, stabilire una soglia di conoscenze (livello A2) al di sotto della quale si torna ad essere “clandestini”, stravolge in partenza ogni ipotesi di integrazione individuale e collettiva.

mercoledì 15 dicembre 2010

Fiducia comprata e guerriglia: più Italie inconciliabili affondano nel fango

E’ devastante lo spettacolo di Roma che brucia mentre la classe politica del paese è sorda e grigia come le sue aule parlamentare. Il governo che si salva con l’aiutino del CEPU/E-campus, l’esamificio online che Silvio Berlusconi ha appena ricoperto di soldi sottratti all’università pubblica, è un dettaglio che appare ancor più esemplificativo dello stato del paese di quanto non sia l’indecorosa vendita vendita dei Moffa e degli Scilipoti o la sconfitta esiziale del “grande statista” Gianfranco Fini, nulla più di un apprendista stregone. Quello del governo che si salva sull’interesse privato di chi aiuta a passare esami studiando meno possibile è il  simbolo di un paese frammentato in parti sempre più inconciliabili.
di Gennaro Carotenuto
La prima Italia è dunque quella irredimibile dei furbi, dei corrotti e dei mafiosi, che siedono senza vergogna in Parlamento, da Cuffaro a Dell’Utri. E’ l’Italia di Silvio Berlusconi, Massimo Calearo (il capolista veltroniano del PD in Veneto) e di Miss Cepu Catia Polidori. E’ l’Italia di quei criminali che, evadendo il fisco, hanno sottratto nel solo 2009 alla collettività nazionale 159 miliardi di Euro (+10%, grazie Tremonti!) e che invece di essere trattati come delinquenti e insultati in strada vengono considerati dritti e rispettati. Centocinquantanove miliardi… che bel paese sarebbe l’Italia se non fosse abitata da così tante metastasi umane con diritto di voto.
A questa Italia si affianca l’Italia che odia, parente stretta dell’Italia analfabeta. E’ l’Italia che crede che il lavoro ai figli lo stiano portando via gli immigrati. E’ l’Italia seduta, che si gode in diretta le vite altrui e il grande fratello, che non ha più forza se mai ne ha avuta, vecchia, che ancora crede a Fede, Vespa, Minzolini e che vota e voterà Silvio, oppure la Lega. E’ l’Italia che ha bisogno di spiegazioncine semplici, le zingare rapiscono i bambini, i negri si sa che rubano, i black block sfasciano e, signora mia, è tutta colpa del ‘68.
E’ l’Italia ruota di scorta dei furbi, quella dell’è tutto un magna magna e allora tanto vale Silvio, è un’Italia sordida e indifendibile nella sua cecità. E’ l’Italia cattolica e pagana allo stesso tempo. E’ l’Italia che vuol continuare a guardare dal buco della serratura le carni fresche di Ruby e di Noemi. E’ un’Italia che, pur non avendone alcuna convenienza, sta sempre dalla parte del più forte, anche perché di alternative non può vederne, un po’ per [mancanza di] cultura, un po’ per paura, un po’ perché massa di manovra malleabile al linguaggio semplificato e ripetitivo del berlusconismo.
Non può infatti essere alternativa per questa gente la terza Italia. Quella dei garantiti che non hanno bisogno di sfogare la loro rabbia contro un bancomat. E’ l’Italia più perbenista che perbene, che guarda con disprezzo Berlusconi e chi lo vota, quella dei puntini sulle “i” e della grammatica politica, quella che dice di aver orrore per la violenza e che invece alla prova del nove prova disprezzo per chi è disperato. E’ l’Italia che in fondo Marchionne ha ragione e che se la tengano sta pipì gli operai. E’ l’Italia del centro-centro-centro-sinistra che ieri ha svolto il suo compitino parlamentare ed è soddisfatta da quel sei meno meno (abbiamo dimostrato che quasi ce la facevamo a farlo dimettere ma per fortuna…). E’ quella che in gioventù era incendiaria e oggi ha orrore di tutto meno che dei pompieri.
E’ l’Italia che si è integrata e ha imparato a stare al mondo con un certo stile e i fatti propri se li sistema comunque. E’ l’Italia dei Bonanno e dei Rutelli, che se osi criticarli sei “un terrorista” (bum!). E’ l’Italia di quelli per i quali lo stupro della minorenne Ruby è un fatto privato, quelli che far la legge sul conflitto d’interessi avrebbe concesso a Berlusconi di fare la vittima, quelli per i quali anche la Lega ha le sue ragioni. Ci sta dentro tutta la classe dirigente “progressista”, che si rimbocca le maniche perché “preferisco battere Berlusconi sul terreno politico” ma non lo batte mai perché in fondo Silvio B. è solo l’altra faccia della loro medaglia.
E’ l’Italia, quella di un’opposizione mai di sistema, che è complice non tanto della perpetuazione del potere berlusconiano ma soprattutto dell’esclusione dilagante della quarta. E’ l’Italia “no future” dei 600.000 cassintegrati, di interi comparti industriali finiti, dei giovani precari senza speranze, degli studenti che vedono nelle riforme gelminiane la fine del loro diritto allo studio e dei migranti senza diritti. E’ un’Italia, quella del maggior disagio, senza alcuna rappresentanza politica. Non avendola viene spinta sempre più nell’angolo. Lo dimostra la guerriglia di ieri nel centro di Roma, in gran parte fomentata dall’uso della forza pubblica manovrata da tempo dal ministro dell’Interno Roberto Maroni per costruire un nuovo nemico funzionale che rilegittimi il sistema. Tutte le altre Italie finiscono per essere sinergiche nell’incapacità che si fa indifferenza di capire come tali tre Italie, i furbi, i beoti e i garantiti, stiano conculcando la vita, i diritti, il futuro a questa quarta alla quale non lasciano altra strada che i sampietrini.
Ci sarebbe anche un’altra Italia, l’Italia migliore, l’Italia civile dei Don Ciotti, per fare un nome tra mille. Ma è un’Italia nascosta ai più, e che i più non vogliono vedere perché richiama a questi la loro cattiva coscienza. E’ un’Italia che impone di cambiare radicalmente l’esistente a partire dalle nostre vite e fare della vita stessa nuova militanza civile. Mario Monicelli continuava a chiamarla Rivoluzione, ma in un paese che affonda la Rivoluzione dei mille Don Ciotti, intransigente, onerosa, difficile, è l’unica speranza possibile.

domenica 12 dicembre 2010

Sabbiuno 1944 - Milano 1969


Sabbiuno 1944 – Milano 1969

66 anni sono passati dall’Eccidio di Sabbiuno, strage perpetrata dai nazifascisti in diversi momenti dell’autunno inverno 1944. Lo scenario dei calanchi bolognesi da 66 anni assistono al momento della commemorazione, del ricordo delle vittime della violenza criminale del pensiero assolutistico nazifascista.
Zolle di terra che potrebbero raccontarci l’orrore di quello che accadde, delle voci fredde degli ufficiali che ordinavano la fucilazione, del rumore sordo dei corpi che rotolavano in fin di vita verso il fondo della valle.
Sabbiuno la discarica delle carceri di S. Giovanni in Monte dove venivano prelevati prigionieri politici per essere uccisi sui colli bolognesi, giovani e meno giovani della provincia di Bologna e di altre località, giovani che si erano macchiati agli occhi degli occupanti tedeschi e dei repubblichini fascisti dell’infamia di essere combattenti partigiani.

41 anni sono passati dalla strage di piazza Fontana, 17 morti e 89 feriti:
Giovanni ARNOLDI, anni 42
Giulio CHINA, anni 57
Eugenio CORSINI
Pietro DENDENA, anni 45
Carlo GAIANI, anni 37
Calogero GALATIOTO, anni 37
Carlo GARAVAGLIA, anni 71
Paolo GERLI, anni 45
Luigi MELONI, anni 57
Vittorio MOCCHI
Gerolamo PAPETTI, anni 78
Mario PASI, anni 48
Carlo PEREGO, anni 74
Oreste SANGALLI, anni 49
Angelo SCAGLIA, anni 61
Carlo SILVA, anni 71
Attilio VALÈ, anni 52

Due eventi lontani negli anni, ma con unica matrice, il fascismo.


Nomi dimenticati, vivi nel ricordo dei famigliari e celebrati ogni anno nel giorno dell’anniversario. Vittime, in entrambi i casi, che non hanno ottenuto giustizia.

In questo 12 dicembre 2010 vogliamo ricordarli uniti, perché le giovani generazioni hanno perso la memoria sia di quello che accadde nella guerra di Liberazione, sia nell’Italia del boom economico.

Riportiamo di seguito l’articolo pubblicato nel sito asca su Piaza Fontana e sulla travagliata storia dei processi.

PIAZZA FONTANA: 40 ANNI DOPO STRATEGIA DELLA TENSIONE SENZA CONDANNE

Prima di quel 12 dicembre nessuno aveva sentito parlare di strategia della tensione, ne' di stragi o servizi segreti deviati, vocaboli diventati col tempo patrimonio del lessico comune. Ma la bomba che alle 16.37 di quel giorno del 1969 provoco' 17 morti e 88 feriti in pieno centro a Milano non cambio' solamente gli argomenti di conversazione del popolo italiano, rivelando la presenza di poteri occulti che mal digerivano le contestazioni operaie e studentesche e puntavano sulla svolta autoritaria.

Anche se l'ordigno piazzato nella sede della Banca dell'Agricoltura a piazza Fontana fu l'unico a provocare delle vittime, quel pomeriggio le bombe furono in tutto cinque. Una fu trovata inesplosa nella sede della Banca Commerciale Italiana sempre a Milano. Le altre tre scoppiarono a Roma, a pochi minuti di distanza da quella milanese, davanti alla Banca Nazionale del Lavoro di via Veneto, all'Altare della Patria e al Museo del Risorgimento a piazza Venezia, dove si verificarono quattro feriti.

Che dietro la sequenza di attacchi ci fosse un disegno ben preciso fu chiaro fin dall'inizio, ma quarant'anni dopo il primo grande mistero della storia della Repubblica italiana e' rimasto ancora senza una vera e propria soluzione. Ci sono voluti 7 processi a carico di esponenti anarchici e di estrema destra, con la condanna per favoreggiamento di alcuni agenti dei servizi segreti, ma nel 2005 la magistratura ha assolto anche gli ultimi indagati, chiudendo il caso in maniera probabilmente definitiva. Gli unici rimasti contro i quali puntare il dito sono tre membri di Ordine Nuovo, organizzazione di estrema destra fondata dal missino Pino Rauti: Franco Freda e Giovanni Ventura, per i quali la Cassazione ha riconosciuto la responsabilita' nell'organizzazione dell'attentato, senza poter tuttavia dar seguito ad una condanna penale in quanto entrambi assolti dalla Corte d'appello, e Delfo Zorzi, fuggito in Giappone nel 1974 dove e' diventato un imprenditore, ha assunto la cittadinanza del Sol Levante ed e' sfuggito cosi' ad ogni richiesta di estradizione.



Una lunga serie di false piste.



Le indagini iniziali, frutto dei primi tentativi di depistaggio, si concentrarono sugli anarchici del Circolo milanese 22 marzo. Uno di loro, Giuseppe Pinelli, fermato il giorno stesso dell'attentato, muore dopo tre giorni di interrogatori il 15 dicembre volando dal quarto piano del palazzo della Questura. Il giorno dopo, sulla base delle testimonianze di un tassista, Cornelio Rolandi, che afferma di averlo accompagnato a piazza Fontana il giorno della strage, finisce in carcere Pietro Valpreda. Per la stampa italiana e' lui il ''mostro'' e il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, invia anche un messaggio di congratulazioni al questore di Milano. Con Valpreda viene arrestato anche Mario Merlino, che come si scoprira' solo in seguito era un neofascista infiltrato nel circolo anarchico.

La pista ''rossa'' si esaurisce presto.

Nel 1971 gli inquirenti mettono nel mirino l'estrema destra ed arrestano Franco Freda e Giovanni Ventura.

Quest'ultimo viene accusato di aver nascosto un intero arsenale in un appartamento. Cominciano a delinearsi le responsabilita' di Ordine Nuovo e nel marzo del 1972 finisce dentro anche Pino Rauti. Restera' in carcere per una ventina di giorni, poi alle elezioni di maggio viene eletto deputato per il Movimento Sociale Italiano ed esce di prigione.

Il 17 maggio del 1972 la bomba di piazza Fontana fa un'altra vittima indiretta, il commissario Luigi Calabresi (accusato dalla sinistra extraparlamentare di essere il responsabile della morte di Pinelli) ucciso con due colpi di pistola. Per questo omicidio, solo molti anni dopo, verranno condannati Leonardo Marino e Ovidio Bompressi come autori materiali e Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani come mandanti, tutti militanti di Lotta Continua.

Dopo la scarcerazione di Valpreda, che ha passato in prigione tre anni, la Corte di Cassazione assegna la competenza del processo a Catanzaro e nel 1973 fa la sua comparsa un nuovo personaggio chiave, il collaboratore del Sid (il servizio segreto militare) Guido Giannettini, che riesce a fuggire a Parigi dove continua per molto tempo ad essere stipendiato dai servizi. Sara' l'allora ministro della Difesa, Giulio Andreotti, a dire in un'intervista che Giannettini e' un uomo del Sid, criticando la decisione di non rendere noto il suo ruolo al momento del suo coinvolgimento. Solo due mesi dopo, Giannettini si consegna all'ambasciata italiana a Buenos Aires. Il governo decide di sciogliere Ordine Nuovo per decreto, accusandola di riorganizzazione del partito fascista. Le ombre sul servizio segreto militare si allungano con l'arresto nel 1974 del direttore del Sid, Vito Miceli, per cospirazione contro lo Stato nell'ambito dell'inchiesta sulla ''Rosa dei venti'', gruppo clandestino che comprendeva anche elementi dei servizi accusato di coinvolgimento in attentati e stragi e nel tentativo di golpe organizzato da Junio Valerio Borghese. Miceli verra' assolto e nel 1976 diventera' deputato del Movimento Sociale Italiano.

Il processo continua senza grandi sorprese avvalorando entrambe le tesi, con imputati anarchici e neofascisti, mentre tutti gli indiziati per la morte di Pinelli vengono prosciolti dal giudice Gerardo D'Ambrosio, il quale accerta anche che al momento della caduta dell'anarchico, il commissario Calabresi non si trovava nella stanza incriminata.

Nel 1976 si fa ancora piu' evidente il coinvolgimento del Sid, con l'arresto del generale Gian Adelio Maletti e il capitano Antonio La Bruna, accusati di favoreggiamento nei confronti di Ventura e Giannettini. Al quarto processo a Catanzaro nel 1977 viene chiamato a testimoniare anche Andreotti, il quale oppone una lunga serie di ''non ricordo'' alle domande dei magistrati che volevano accertare come mai tre anni prima il ruolo svolto da Giannettini nei servizi era stato coperto dal segreto militare.



La verita' di Moro.



Ma e' nei memoriali scritti da Aldo Moro, rapito dalla Brigate Rosse il 16 marzo del 1978 e trovato morto il 9 maggio seguente, che emerge come la strategia della tensione sia frutto di ''connivenze di organi dello Stato e della Democrazia Cristiana in alcuni suoi settori''. Quanto alla strage della Banca Nazionale dell'Agricoltura, Moro scrive che ''la pista era vistosamente nera, come si e' poi rapidamente riconosciuto''.

Le coperture dei servizi continuano intanto a funzionare e fra l'ottobre del 1978 e il gennaio del 1979 si perdono le tracce di Freda, mentre Ventura riesce a scappare dal carcere a Catanzaro. La loro fuga durera' poco: il primo viene arrestato in Costa Rica ed estradato, il secondo viene fermato a Buenos Aires.

Tutti assolti a Catanzaro.

Il 20 marzo del 1981 il processo di appello a Catanzaro si conclude con un'incredibile sentenza di assoluzione nei confronti di Freda e Ventura, condannati a 15 anni per altri attentati a Padova e Milano, e di Giannettini, che viene scarcerato. Confermate invece le condanne, ma solo per associazione sovversiva, nei confronti di Valpreda e Merlino.

Il 21 maggio la Presidenza del Consiglio diffonde la lista degli iscritti alla loggia massonica segreta P2, fra i nomi compaiono anche quelli di Maletti e La Bruna.

Ad ottobre la Procura di Catanzaro riapre l'inchiesta sulla strage ed accusa di strage l'ex capo di Avanguardia Nazionale, Stefano Delle Chiaie, il ''burattinaio'' di Merlino. Verra' arrestato in Venezuela solo nel 1987, ma due anni dopo sara' assolto per non aver commesso il fatto.

Entra in scena il giapponese.

Nel 1990 si affaccia sul proscenio Delfo Zorzi, gia' condannato in primo grado e poi assolto per la strage di Peteano. Emigrato in Giappone in modo misterioso qualche anno dopo la strage di piazza Fontana, Zorzi viene sospettato di esserne l'esecutore materiale ed e' ritenuto legato all'Uffficio Affari riservati del Ministero degli Interni, diretto da Federico Umberto D'Amato, agente segreto anche lui iscritto alla P2. L'ex esponente di Ordine Nuovo, ormai cittadino giapponese, e' accusato di aver organizzato anche la strage di piazza della Loggia a Brescia, ma la giustizia italiana si scontra con il governo di Tokyo che non concede l'estradizione. Contro Zorzi arrivano anche le testimonianze di Carlo Digilio, ex membro di Ordine Nuovo ed esperto di esplosivi, che viene arrestato nel 1992 a Santo Domingo e di Martino Siciliano, anche lui un tempo iscritto alla associazione neofascista, il quale racconta che Zorzi gli aveva rivelato che le bombe del dicembre del 1969 erano state piazzate per paura che i comunisti salissero al potere e che gli anarchici arrestati erano solo dei capri espiatori.



L'inchiesta del giudice Salvini e la beffa finale.



Nell'aprile del 1995 il giudice Guido Salvini, che sta conducendo un'indagine sulla destra eversiva, scopre un legame fra l'attentato di piazza Fontana e quello contro Mariano Rumor, presidente del Consiglio nel 1969.

Il 17 maggio del 1973 uno strano anarchico che si professa seguace delle teorie di Max Stirner, Gianfranco Bertoli, aveva lanciato una bomba a mano di fabbricazione israeliana nel cortile della questura di Milano, durante l'inaugurazione di un busto in memoria del commissario Calabresi alla presenza dell'allora Ministro dell'Interno Rumor. Il ministro ne era uscito illeso, ma la bomba aveva provocato 4 morti e decine di feriti. Secondo Salvini, anche questo attentato era opera dell'estrema destra, che voleva vendicarsi di Rumor che all'epoca di piazza Fontana non aveva instaurato l'emergenza nazionale, impedendo di fatto la deriva autoritaria auspicata dagli autori della strage.

Salvini si convince che a mettere la bomba sia stato Zorzi.

Altri dieci anni di processi, che vedranno entrare e uscire di scena neofascisti di Ordine Nuovo, ex agenti del Sid, non risolvono il rebus. Ma la teoria di Salvini viene confermata da un altro terrorista nero, Vincenzo Vinciguerra, in carcere per la bomba di Peteano, il quale rivela che fra il 1971 e il 1972 gli venne chiesto piu' volte di uccidere Rumor da parte di esponenti di Ordine Nuovo. Zorzi viene condannato in primo grado all'ergatsolo insieme a Carlo Maria Maggi, ex camerata della cellula veneta di Ordine Nuovo.

Verra' assolto in appello nel 2004 e nel 2005 la Corte di Cassazione confermando l'assoluzione scrive il copione della beffa finale nei confronti dei parenti delle vittime, condannati per legge al pagamento delle spese processuali.

Con Freda e Ventura colpevoli, ma non punibili perche' gia' assolti in via definitiva, Maggi e Zorzi accusati di complicita' con la strategia eversiva di Freda, ma ritenuti non colpevoli per le bombe del dicembre del 1969, il 2005 mette la parola fine alla storia. Decine di governi di tutti i colori e titolari della Difesa e degli Interni avvicendatisi per anni a via XX Settembre e al Viminale, non sono riusciti mai ad impedire che su una delle pagine piu' nere della storia della Repubblica calasse il definitivo sipario.
(u.d'a.)

Fonte: http://www.asca.it/focus-PIAZZA_FONTANA__40_ANNI_DOPO_STRATEGIA_DELLA_TENSIONE_SENZA_CONDANNE-2983.html



giovedì 2 dicembre 2010

COGITO ERGO OCCUPO


Leggiamo: Occupazione continua alle superiori. “Pronti a dare voti bassi in condotta”.
E non possiamo più tacere.
Non possiamo tacere come genitori di chi in questo momento sta sperimentandosi nell’affermazione della propria autodeterminazione di persona, prima ancora che di studente: il diritto alla conoscenza, al sapere, all’istruzione, inteso come diritto sociale, non può essere calpestato, perché significa violare l’idea di futuro, di un futuro per tutti. Non possiamo tacere per esser stati tra coloro che hanno fatto la loro parte perché l’accesso al sapere fosse un bene comune, una proprietà di tutti, cosa che il modello di società che la destra ci sta imponendo non prevede. Non possiamo tacere di fronte alle esternazioni di alcuni dirigenti scolastici delle nostre scuole bolognesi: Pronti a dare voti bassi in condotta” – “negli ultimi vent’anni non sono simili proteste ad aver fermato i tagli alla scuola” – “L’occupazione è una violazione delle regole di convivenza”… Rimandiamo ai mittenti queste ed altre affermazioni che riteniamo siano totalmente disallineate con quanto sta succedendo in Italia oggi tra gli studenti, i ricercatori, e quei docenti che credono ancora nel valore della conoscenza e nella trasmissione del sapere di cui loro sono strumenti, oltre il loro tornaconto personale.. Sono minacce che riportano indietro nel tempo: credevamo che tra le componenti che fanno la scuola oggi fosse maturato un nuovo senso dell’educazione, un diverso modo di incontrare le nuove generazioni e di interpretare la loro sana voglia di protesta, sana perché è solo mettendo in discussione ciò che viene calato dall’alto, rifiutando di fare proprie le regole dominanti, che si cresce e si costruisce il senso del proprio futuro, un futuro che non può essere caratterizzato dalla dequalificazione di massa che la riforma approvata alla Camera ha come fondamento. Vorremmo ricordare a lor signori le parole di don Milani, invitandoli ad  avere  
il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù”
“non posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate.
La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto.
La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero. Ma la leva vera di queste due leve del potere è influire con la parola e con l'esempio sugli altri votanti e scioperanti. E quando è l'ora non c'è scuola più grande che pagare di persona un'obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede”, che sia pure un voto basso in condotta!.

Mariangela Mombelli
Mauro Bonafede

sabato 27 novembre 2010

Accade in Italia

di Mattia del CPO Gramigna di Padova
41bis.jpg[Sembra incredibile. Due anni di prigione a un giovane operaio e ad altri suoi compagni solo per avere - forse - gridato uno slogan durante un corteo. Questa è l'Italia 2010. Qualcosa di cui vergognarsi.] (V.E.)
Ciao a tutti, ieri mattina ho appreso di essere stato condannato, in primo grado, a due anni per apologia di terrorismo. La mia unica colpa, condivisa con altri sei compagni del CPO Gramigna e un'altra dozzina di anarchici di varie città, è quella di aver partecipato alla manifestazione contro il carcere duro (41 bis) svoltasi a L'Aquila il 3 Giugno 2007. Il corteo di quel giorno, dopo aver attraversato il centro cittadino, terminò con l'invasione dell'area, protetta da limite invalicabile, prossima al carcere speciale del capoluogo abruzzese. In quel carcere, in condizioni di isolamento totale, oltre a numerosi mafiosi è rinchiusa Nadia Lioce.
L'accusa che ci viene rivolta è quella di aver scandito lo slogan: "La fabbrica ci uccide / lo stato ci imprigiona / che cazzo ce ne frega / di Biagi e di D'Antona".
Ora, a prescindere dal fatto che lo slogan sia stato o meno scandito e da chi effettivamente l'abbia scandito, a prescindere dal giudizio di ognuno sulla Lioce e la sua organizzazione, trovo incredibile il fatto che la magistratura sia arrivata al punto di fabbricare un'inchiesta su uno slogan. Uno slogan che anche analizzato nella sua essenza non è apologia di alcunché, esprime semmai il rifiuto di osservare la realtà dal solo punto di vista che ci è concesso, quello dei media, espressione della presunta democrazia in cui viviamo.
La famosa libertà di espressione, sancita costituzionalmente, impallidisce di fronte a una condanna a due anni, il PM ne aveva chiesti cinque, per uno slogan, e sono costretto a pensare che questa debba servire da monito a tutti quelli che hanno deciso di non chinare la testa.
Tutta l'attività politica che svolgiamo a Padova, attraverso il centro popolare, che abbiamo recentemente rioccupato, i comitati di quartiere e i collettivi studenteschi è incentrata sul continuo confronto con la gente comune, quindi ci rendiamo perfettamente conto di quanto sia difficilmente comunicabile e capibile il senso di una tale operazione repressiva.
Al restare in silenzio, nella vana speranza che la sentenza d'appello possa ribaltare questa situazione, abbiamo preferito comunicare pubblicamente la gravità di questa condanna e il precedente che rappresenta.
Mi domando come mai il Tribunale de L'Aquila, tanto celere nel vagliare fotogramma per fotogramma la manifestazione degli "apologeti" del terrorismo e nell’emettere condanne esemplari, non sia altrettanto solerte nel condannare gli imprenditori che all'indomani del terremoto si fregavano le mani pregustando grandi affari.
Forse vi farà piacere sapere - la nostra avvocatessa dell'Aquila (impegnata anche a difendere i terremotati) ce ne ha dato notizia - che i palazzinari imputati per il crollo della Casa dello Studente hanno chiesto e ottenuto di spostare il loro processo, da L'Aquila a Roma, per incompatibilità ambientale...
Scusate lo sfogo, ma non trovo parole per definire questa magistratura che, mentre si prepara ad assolvere i pescecani dell'edilizia, ha già assolto gli stragisti di Piazza della Loggia…

http://www.carmillaonline.com/archives/2010/11/003687.html

SFREGIO AL MONUMENTO DEDICATOALLA BRIGATA MAIELLA IN VIA BARBACCI – QUARTIERE SAVENA - BOLOGNA


In data 26 novembre 2010 abbiamo assistito all'ennesimo sfregio alla memoria resistenziale e partigiana: il monumento dedicato alla Brigata Maiella è stato imbrattato con scritte inneggianti al dittatore del Ventennio e con simboli celtici. Degli autori materiali nessuna traccia, ma riteniamo che questo non sia il punto. Di fatto non conosciamo le motivazioni che stanno dietro questi e altri gesti simili; crediamo che sia innanzitutto, o forse soltanto, un modo di essere “ contro”: ma contro cosa? E se così fosse, perché questo continuo e reiterato accanimento contro i simboli della nostra libertà? Dietro queste domande c'è da parte nostra la volontà di arrivare ad un confronto con gli attori di questi gesti per capire le ragioni vere che li muovono e, soprattutto, per comprendere l'origine della “paura” verso un movimento di popolo che 65 anni fa ci ha restituito la libertà. Che sia proprio la libertà a far paura? Le dittature hanno sempre tranquillizzato psicologicamente le masse, la libertà obbliga i singoli a confrontarsi innanzitutto con se stessi. I regimi hanno sempre bisogno di qualcuno che, pur ritenendosi legittimamente eletto, dica “ghe pensi mi”, ma non è di questi duci che la libertà ha bisogno. Gandhi era un duce: era un capo, una guida, che attraverso la testimonianza di vita e pagando di persona ha dimostrato che la libertà si ottiene con la partecipazione di tutti. L'emancipazione dei popoli è avvenuta perché la storia è ricca di figure come Martin Luther King, Nelson Mandela, Rigoberta Menciù, Aung San Suu Kyi.... che hanno fatto della libertà una bandiera e una ragione di vita. Essi non hanno avuto bisogno di eserciti, apparati di polizia e di strutture di potere. La conoscenza e la libertà vanno sempre a passeggio insieme: il venir meno di una di queste condizioni ha sempre creato il presupposto per ogni oscura avventura. Noi sappiamo cosa sono stati il Ventennio fascista, il potere di Hitler e quello di Stalin e sappiamo cosa è stata la lotta di liberazione italiana ed europea. Voi che avete commesso questo gesto e voi che vorreste commetterne altri, avete coscienza e conoscenza della storia?

venerdì 26 novembre 2010

La Russa: "Io come D'Annunzio".



E lancia volantini su Bala Murghab

Il ministro in visita in Afghanistan

BALA MURGHAB (AFGHANISTAN)
«La Russa come D'Annunzio». È lo stesso ministro della Difesa a suggerire ai giornalisti il titolo della notizia che lo ha visto oggi protagonista sui cieli dell'Afghanistan: un «volantinaggio» dall'elicottero che lo ha trasportato dalla base di Herat al distaccamento di Bala Murghab. Sui manifestini il messaggio rivolto alla popolazione a fare attenzione ai pericoli delle mine e a respingere gli "insorti".
Dall'elicottero CH-47 italiano sono stati lanciati oggi 11 mila di questi volantini ideati, spiegano al comando del contingente, «per supportare la campagna di reintegrazione degli insorti nella società civile promossa ed attuata dal governo afgano». In uno è raffigurato un combattente che abbandona la via della violenza e ritorna al suo villaggio. Il messaggio è: «Il benessere proviene dalla pace». In un altro si ricorda invece che le mine e gli ordigni esplosivi in generale rappresentano la maggiore minaccia sia per i militari che per la popolazione civile e, dunque, «gli insorti che ne fanno uso costituiscono la principale minaccia - questo il testo del messaggio rivolto alle popolazioni - per le vostre famiglie».
24 novembre 2010


Questi sono i ministri della Repubblica d’Italia.
Uno a caso: il sig. La Russa Ignazio. Diventa estremamente necessario ed urgente per la salvezza della Repubblica, una radicale bonifica della classe politica dirigente.
La guerra è una cosa seria, e quella in Afghanistan è un palese tradimento alla nostra Costituzione. Il sig. La Russa Ignazio, se ama giocare a fare il soldatino o il Gabriele D’Annunzio, si dimetta da ministro e si arruoli nella Legione Straniera.
E, ricordiamocelo ancora, è il sig. La Russa Ignazio, a prendere in giro il popolo con la complicità di un altro ministro, sig.ra Gelmini Maria Stella, dando il colpo di grazia all’agonizzante Scuola italiana promovendo corsi di formazione militare per ragazzi delle scuole medie superiori validi come “crediti formativi” dove viene insegnato anche a sparare. Paradossale il titolo del corso: “Allenati alla vita”. Meglio sarebbe “Allenati alla morte”.
Le succitate persone hanno la pretesa di utilizzare i nostri figli come carne da macello nei vari scenari mondiali dove si consumano le tragedie della guerra; dove, per tutelare gli interessi economici di pochi nababbi, vengono massacrate le popolazioni civili.
Il sig. La Russa Ignazio mandi sul fronte afghano, invece, suo figlio (e possibilmente senza scorta) per darci il buon esempio di allenamento alla vita.
E visto che i politici al potere lamentano, spesso e volentieri, di non avere un contraddittorio (quando sono invece sempre presenti in talk-show a fare i propri monologhi), vorrei che il contraddittorio l’avessero, una volta tanto, i cittadini per chiedere al sig. La Russa Ignazio con arroganza si è reso fautore della proposta di riarmo dell’Italia con un programma per la realizzazione di 131 cacciabombardieri F35 Joint Strike Fighter che impegneranno il nostro paese fino al 2026 con una spesa (destinata ad aumentare) di oltre 15 miliardi di euro.
Il Parlamento, approvando la prossima "Legge Finanziaria", stanzierà per la produzione degli aerei circa 472 milioni di euro per il 2011, cifra che dovrà più che raddoppiare negli anni successivi per tenere il passo con quanto deciso.
E tutto questo quando ci sono in Italia intere famiglie che non sanno come arrivare a fine mese e gravi problemi sociali che vanno, di giorno in giorno, aggravandosi.
Coloro che sostengono questi signori al governo dell’Italia sono informati di tutto ciò?
Spero in un dialogo con queste persone (perché con i signori del governo è impossibile avercelo).

Riccardo Giordano


domenica 21 novembre 2010

L'Einaudi minaccia di querelare i compagni e il fratello di Peppino Impastato. Avevano chiesto una rettifica a Saviano

La vostra lotta è la nostra lotta, attaccare voi è attaccare la storia dell'Antimafia civile
Saviano scrive che, prima del film "I Cento Passi", la memoria di Peppino Impastato era custodita solo da pochi, mettendo in relazione il film con i processi per l'assassinio di Peppino. Umberto Santino e, successivamente, Giovanni Impastato chiedono che venga riconosciuto la loro più che trentennale battaglia perché Peppino abbia giustizia: il processo era iniziato prima del film, grazie a questa battaglia. L'Einaudi, la casa editrice per la quale Saviano ha scritto il testo incriminato, per tutta risposta minaccia querele.


Quanto sta accadendo in queste settimane è l'emblema dell'Italia di oggi, l'Italia dei salotti e che non si indigna più, un Paese che riconosce una sola narrazione, quella della televisione e del pensiero unico che narcotizza e omologa. Una storia come quella del Centro Siciliano di Documentazione Peppino Impastato e di tutti i compagni di Peppino, del loro coraggio e della loro determinazione nel portare avanti la lotta perché venisse fatta giustizia a Peppino non può esistere. E' molto più comodo far credere che tutto sia avvenuto per un film, che questo film abbia risollevato dall'oblio la storia di Peppino e magicamente tutto è tornato in moto, anche i Tribunali. Perché questa è l'ideologia televisiva, un quarto d'ora di celebrità e tutti hanno diritto ad esistere. Ma prima di quel quarto d'ora, fuori dal recinto dorato non si esiste. Addolora e amareggia che, in questo caso, sia coinvolto Roberto Saviano. Perché tutto è nato da un suo scritto. Saviano, almeno ufficialmente, non ha ancora preso posizione. Possiamo ancora sperare che voglia esprimere forte contrarietà per quanto sta facendo la casa editrice Einaudi e voglia difendere Umberto, Giovanni e il Centro. Umberto, in più riprese, gli ha chiesto un confronto pubblico, un incontro chiarificatore. Lo ha auspicato anche Riccardo Orioles. Sarebbe molto triste se non fosse così. Per Saviano e per tutti noi.

La querela dell'Einaudi, una volta gloriosa casa editrice, riporta alla mente i fatti del 2004, allorquando l'avvocato di Tano Badalamenti querelò Giovanni Impastato per aver dichiarato al Maurizio Costanzo Show che chi sosteneva che Peppino fosse un terrorista-suicida era un imbecille. In quell'occasione Giovanni fu condannato. Oggi l'indignazione non può che essere la stessa. Viviamo tempi in cui due luminose figure dell'impegno civile e dell'antimafia vengono irrise, sminuite, attaccate mentre l'Italia sempre più precipita nell'illegalità, nell'affarismo, nella speculazione, nella penetrazione mafiosa nelle Istituzioni e in economia, nell'avanspettacolo. Il loro impegno, il loro coraggio, la loro trentennale battaglia per la giustizia e per denunciare (e documentare, che al giorno d'oggi è merce rara) i potentati mafiosi dev'essere il nostro. E' un patrimonio dell'Italia migliore, che non si arrende e alza la testa, un patrimonio da difendere e custodire quotidianamente. Persone come Giovanni e Umberto andrebbero sostenute, difese, prese da esempio. E invece, c'è il silenzio (anche di tanti presunti antimafiosi, ma da salotto). Questo silenzio, quest'omertà va spezzata. E' doveroso chiedere a Saviano di esprimersi e chiedere scusa. Tutti possiamo sbagliare, a tutti può capitare di essere fraintesi. Probabilmente, vogliamo crederlo, Saviano non è riuscito ad esprimere compiutamente e correttamente il suo pensiero. Basterebbe un suo gesto, una sua presa di posizione pubblica per fermare l'attacco dell'Einaudi e ripristinare la verità. Sarebbe un atto di giustizia, verso il Centro e verso la memoria di Peppino. Una memoria che non possiamo permettere, e ancor più non può Saviano accettare di esserne strumento, sminuita e offesa. E' la memoria di un sacrificio, assassinato dalla mafia e accusato da morto di essere un terrorista. E' la memoria di un cammino trentennale, una lotta per chiedere giustizia iniziata poche ore dopo l'assassinio e giunta ad oggi ancora in piedi, luminoso esempio di un cammino da seguire per tutti coloro che credono ancora che la mafia, parafrasando Borsellino, è umana ed è destinata a finire. Il l 9 maggio 1978 Peppino Impastato fu ucciso dalla mafia. Il boss Tano Badalamenti decise che Peppino era diventato scomodo. Quel giorno era convinto di aver messo a tacere un uomo che voleva e cercava la giustizia. Invece si sbagliò profondamente. Perché dal sacrificio di Peppino, dall'amore per la giustizia che lui aveva sempre mostrato, tante voci si levarono. Il giorno dei funerali di Peppino, centinaia di persone (in gran parte da fuori Cinisi) accompagnarono la bara. "All'improvviso, come a rispondere agli slogans dei compagni ("Peppino è vivo e lotta insieme a noi"), si levò, alto, deciso, il pugno chiuso di Giovanni. Era una prima risposta. Un filo cominciava a intrecciarsi. Dentro la famiglia Impastato qualcuno dichiarava pubblicamente di prendere il testimone, si schierava apertamente con Peppino e con i suoi compagni. Ai muri del paese in un piccolo manifesto si leggeva: Peppino Impastato è stato assassinato. L'omicidio ha un nome chiaro: Mafia" ricordano Anna e Umberto Santino.

Come fiori in primavera gli amici di Peppino decisero di proseguire il suo impegno, la sua lotta contro l'oppressione e la violenza mafiosa. Questo gruppo di irriducibili cercatori di giustizia hanno da subito trovato un motore inesauribile nella famiglia di Peppino. L'anziana mamma Felicita e il fratello Giovanni decisero di non lasciar morire la sua voce. Anche grazie a loro, oggi digitanto su un qualsiasi motore di ricerca "Peppino Impastato" si trova subito tantissime testimonianze di una Sicilia che non si arrende alla mafia. Il primo impegno fu quello di rendere giustizia proprio a lui. I mandanti del suo assassinio, insieme ai loro appoggi istituzionali accusarono Peppino di essere un terrorista e di essere morto mentre stava preparando una bomba. Si voleva infangarne la memoria, cancellare il suo impegno antimafia. Ma i suoi amici non si arresero e condussero una battaglia legale durissima. Nonostante i boicottaggi e i depistaggi alla fine la giustizia prevalse. Alle ore 17,15 dell'11 aprile 2002 la Corte d'Assise di Palermo condanna Gaetano Badalamenti all'ergastolo in quanto mandante dell'omicidio Impastato. 24 anni dopo finalmente era giustizia. Quelle poche parole di Saviano, e il comportamento dell'Einaudi, nascondono e non riconoscono tutto questo.

In questo ultratrentennale cammino, tantissimi sono i momenti che andrebbero ricordati, momenti straordinari che testimoniamo la limpidezza e l'umanità di chi lo sta conducendo. Tra i tanti pubblici, a me piacerebbe ricordarne uno quasi privato: l'incontro tra Haidi Giuliani e Felicetta, la mamma di Peppino. Le parole con le quali Umberto testimoniò l'incontro tra le due madri, l'abbraccio tra la resistenza contro la mafia e la resistenza contro la globalizzazione, due imperi economici e politici che si incontrano e fanno affari insieme da sempre. Dalla loro umanità possiamo, e dobbiamo, ripartire. Con coraggio, ovvero col cuore.

Chiediamo giustizia per Peppino, ieri, oggi e sempre. Al fianco di Umberto e Giovanni, al fianco del Centro Siciliano di Documentazione Peppino Impastato e dei compagni di Peppino. Perché esiste un'Italia migliore, un'Italia che non accetta di piegarsi e il compromesso interessato, che non si arrende e s'indigna. Quest'Italia va ringraziata, va difesa e va seguita.
Alessio Di Florio

I dettagli della vicenda
http://www.radiocittaperta.it/index.php?option=com_content&task=view&id=5420&Itemid=9


E' possibile sostenere, anche economicamente, il Centro (che si autofinanzia)
Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”
via Villa Sperlinga 15
90144 Palermo
conto corrente postale
n. 10690907

UN PROGRAMMA ANTIFASCISTA

Vi e' un solo modo per impedire che l'ennesima crisi del regime autocratico-gangsteristico berlusconiano si risolva in una nuova conferma o in un gattopardesco proseguire del berlusconismo senza Berlusconi attraverso i suoi associati e caudatari di lungo corso.
Vi e' un solo modo per impedire che questa ora di verita' generi nuova menzogna e nuova prostituzione al male.
Ed il solo modo per impedire un esito vieppiu' avvilente e' quello di impegnarsi subito a costruire una coalizione per la legalita' democratica, una coalizione per la democrazia progressiva, una coalizione per l'alternativa nonviolenta al regime della corruzione, del neofascismo, della guerra e del colpo di stato razzista.
Ma una coalizione per la Costituzione e per la civilta' deve avere come suo elemento costitutivo e costruttivo un programma antifascista nitido e intransigente.
E cuore di questo programma devono essere due scelte politiche decisive: l'impegno per l'immediata cessazione della partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan; l'impegno per l'immediata abrogazione di tutte le scellerate misure in cui si e' concretizzato il colpo di stato razzista nel nostro paese.
Ma perche' una coalizione antifascista e un programma antifascista possano darsi, occorre che entri in scena un soggetto politico che senza piu' alcuna subalternita' e ambiguita' si ponga come portatore di una proposta politica nonviolenta.
Un soggetto politico che non degeneri subito in nuove burocrazie e vecchi cialtroni, sempiterni beoni e rampicanti dell'ultim'ora, nel machiavellismo degli stenterelli che tanto catastrofico e' stato; un soggetto politico che nasca dall'incontro laico e plurale delle tante esperienze del femminismo, dell'ambientalismo, delle lotte delle e degli sfruttati ed oppressi, che recuperi la corrente calda delle tradizioni di lotta, di solidarieta' e di liberazione datesi negli ultimi due secoli, e che colga la necessita' storica di scegliere la nonviolenza come teoria-prassi adeguata ai compiti dell'ora, che nel quadro della nonviolenza sappia comporre le istanze di giustizia e di liberta', che con la forza della nonviolenza sappia porsi come elemento trainante di una mobilitazione che dal basso contribuisca alla nascita di una coalizione e di un programma antifascista.
Per sconfiggere l'autocrazia berlusconiana.
Per promuovere una politica ecoequosolidale, di pace e di liberazione, femminista, nonviolenta.
Nella concretezza dell'agire, nell'intransigenza della scelta della riforma morale e intellettuale, nella misericordia per tutti i viventi.

Beppe Sini
(Direttore del "Centro di ricerca per la pace di Viterbo")