Sabbiuno 1944 – Milano 1969
66 anni sono passati dall’Eccidio di Sabbiuno, strage perpetrata dai nazifascisti in diversi momenti dell’autunno inverno 1944. Lo scenario dei calanchi bolognesi da 66 anni assistono al momento della commemorazione, del ricordo delle vittime della violenza criminale del pensiero assolutistico nazifascista.
Zolle di terra che potrebbero raccontarci l’orrore di quello che accadde, delle voci fredde degli ufficiali che ordinavano la fucilazione, del rumore sordo dei corpi che rotolavano in fin di vita verso il fondo della valle.
Sabbiuno la discarica delle carceri di S. Giovanni in Monte dove venivano prelevati prigionieri politici per essere uccisi sui colli bolognesi, giovani e meno giovani della provincia di Bologna e di altre località, giovani che si erano macchiati agli occhi degli occupanti tedeschi e dei repubblichini fascisti dell’infamia di essere combattenti partigiani.
Zolle di terra che potrebbero raccontarci l’orrore di quello che accadde, delle voci fredde degli ufficiali che ordinavano la fucilazione, del rumore sordo dei corpi che rotolavano in fin di vita verso il fondo della valle.
Sabbiuno la discarica delle carceri di S. Giovanni in Monte dove venivano prelevati prigionieri politici per essere uccisi sui colli bolognesi, giovani e meno giovani della provincia di Bologna e di altre località, giovani che si erano macchiati agli occhi degli occupanti tedeschi e dei repubblichini fascisti dell’infamia di essere combattenti partigiani.
41 anni sono passati dalla strage di piazza Fontana, 17 morti e 89 feriti:
Giovanni ARNOLDI, anni 42
Giulio CHINA, anni 57
Eugenio CORSINI
Pietro DENDENA, anni 45
Carlo GAIANI, anni 37
Calogero GALATIOTO, anni 37
Carlo GARAVAGLIA, anni 71
Paolo GERLI, anni 45
Luigi MELONI, anni 57
Vittorio MOCCHI
Gerolamo PAPETTI, anni 78
Mario PASI, anni 48
Carlo PEREGO, anni 74
Oreste SANGALLI, anni 49
Angelo SCAGLIA, anni 61
Carlo SILVA, anni 71
Attilio VALÈ, anni 52
Giovanni ARNOLDI, anni 42
Giulio CHINA, anni 57
Eugenio CORSINI
Pietro DENDENA, anni 45
Carlo GAIANI, anni 37
Calogero GALATIOTO, anni 37
Carlo GARAVAGLIA, anni 71
Paolo GERLI, anni 45
Luigi MELONI, anni 57
Vittorio MOCCHI
Gerolamo PAPETTI, anni 78
Mario PASI, anni 48
Carlo PEREGO, anni 74
Oreste SANGALLI, anni 49
Angelo SCAGLIA, anni 61
Carlo SILVA, anni 71
Attilio VALÈ, anni 52
Due eventi lontani negli anni, ma con unica matrice, il fascismo.
Nomi dimenticati, vivi nel ricordo dei famigliari e celebrati ogni anno nel giorno dell’anniversario. Vittime, in entrambi i casi, che non hanno ottenuto giustizia.
In questo 12 dicembre 2010 vogliamo ricordarli uniti, perché le giovani generazioni hanno perso la memoria sia di quello che accadde nella guerra di Liberazione, sia nell’Italia del boom economico.
Riportiamo di seguito l’articolo pubblicato nel sito asca su Piaza Fontana e sulla travagliata storia dei processi.
PIAZZA FONTANA: 40 ANNI DOPO STRATEGIA DELLA TENSIONE SENZA CONDANNE
Prima di quel 12 dicembre nessuno aveva sentito parlare di strategia della tensione, ne' di stragi o servizi segreti deviati, vocaboli diventati col tempo patrimonio del lessico comune. Ma la bomba che alle 16.37 di quel giorno del 1969 provoco' 17 morti e 88 feriti in pieno centro a Milano non cambio' solamente gli argomenti di conversazione del popolo italiano, rivelando la presenza di poteri occulti che mal digerivano le contestazioni operaie e studentesche e puntavano sulla svolta autoritaria.
Anche se l'ordigno piazzato nella sede della Banca dell'Agricoltura a piazza Fontana fu l'unico a provocare delle vittime, quel pomeriggio le bombe furono in tutto cinque. Una fu trovata inesplosa nella sede della Banca Commerciale Italiana sempre a Milano. Le altre tre scoppiarono a Roma, a pochi minuti di distanza da quella milanese, davanti alla Banca Nazionale del Lavoro di via Veneto, all'Altare della Patria e al Museo del Risorgimento a piazza Venezia, dove si verificarono quattro feriti.
Che dietro la sequenza di attacchi ci fosse un disegno ben preciso fu chiaro fin dall'inizio, ma quarant'anni dopo il primo grande mistero della storia della Repubblica italiana e' rimasto ancora senza una vera e propria soluzione. Ci sono voluti 7 processi a carico di esponenti anarchici e di estrema destra, con la condanna per favoreggiamento di alcuni agenti dei servizi segreti, ma nel 2005 la magistratura ha assolto anche gli ultimi indagati, chiudendo il caso in maniera probabilmente definitiva. Gli unici rimasti contro i quali puntare il dito sono tre membri di Ordine Nuovo, organizzazione di estrema destra fondata dal missino Pino Rauti: Franco Freda e Giovanni Ventura, per i quali la Cassazione ha riconosciuto la responsabilita' nell'organizzazione dell'attentato, senza poter tuttavia dar seguito ad una condanna penale in quanto entrambi assolti dalla Corte d'appello, e Delfo Zorzi, fuggito in Giappone nel 1974 dove e' diventato un imprenditore, ha assunto la cittadinanza del Sol Levante ed e' sfuggito cosi' ad ogni richiesta di estradizione.
Una lunga serie di false piste.
Le indagini iniziali, frutto dei primi tentativi di depistaggio, si concentrarono sugli anarchici del Circolo milanese 22 marzo. Uno di loro, Giuseppe Pinelli, fermato il giorno stesso dell'attentato, muore dopo tre giorni di interrogatori il 15 dicembre volando dal quarto piano del palazzo della Questura. Il giorno dopo, sulla base delle testimonianze di un tassista, Cornelio Rolandi, che afferma di averlo accompagnato a piazza Fontana il giorno della strage, finisce in carcere Pietro Valpreda. Per la stampa italiana e' lui il ''mostro'' e il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, invia anche un messaggio di congratulazioni al questore di Milano. Con Valpreda viene arrestato anche Mario Merlino, che come si scoprira' solo in seguito era un neofascista infiltrato nel circolo anarchico.
La pista ''rossa'' si esaurisce presto.
Nel 1971 gli inquirenti mettono nel mirino l'estrema destra ed arrestano Franco Freda e Giovanni Ventura.
Quest'ultimo viene accusato di aver nascosto un intero arsenale in un appartamento. Cominciano a delinearsi le responsabilita' di Ordine Nuovo e nel marzo del 1972 finisce dentro anche Pino Rauti. Restera' in carcere per una ventina di giorni, poi alle elezioni di maggio viene eletto deputato per il Movimento Sociale Italiano ed esce di prigione.
Il 17 maggio del 1972 la bomba di piazza Fontana fa un'altra vittima indiretta, il commissario Luigi Calabresi (accusato dalla sinistra extraparlamentare di essere il responsabile della morte di Pinelli) ucciso con due colpi di pistola. Per questo omicidio, solo molti anni dopo, verranno condannati Leonardo Marino e Ovidio Bompressi come autori materiali e Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani come mandanti, tutti militanti di Lotta Continua.
Dopo la scarcerazione di Valpreda, che ha passato in prigione tre anni, la Corte di Cassazione assegna la competenza del processo a Catanzaro e nel 1973 fa la sua comparsa un nuovo personaggio chiave, il collaboratore del Sid (il servizio segreto militare) Guido Giannettini, che riesce a fuggire a Parigi dove continua per molto tempo ad essere stipendiato dai servizi. Sara' l'allora ministro della Difesa, Giulio Andreotti, a dire in un'intervista che Giannettini e' un uomo del Sid, criticando la decisione di non rendere noto il suo ruolo al momento del suo coinvolgimento. Solo due mesi dopo, Giannettini si consegna all'ambasciata italiana a Buenos Aires. Il governo decide di sciogliere Ordine Nuovo per decreto, accusandola di riorganizzazione del partito fascista. Le ombre sul servizio segreto militare si allungano con l'arresto nel 1974 del direttore del Sid, Vito Miceli, per cospirazione contro lo Stato nell'ambito dell'inchiesta sulla ''Rosa dei venti'', gruppo clandestino che comprendeva anche elementi dei servizi accusato di coinvolgimento in attentati e stragi e nel tentativo di golpe organizzato da Junio Valerio Borghese. Miceli verra' assolto e nel 1976 diventera' deputato del Movimento Sociale Italiano.
Il processo continua senza grandi sorprese avvalorando entrambe le tesi, con imputati anarchici e neofascisti, mentre tutti gli indiziati per la morte di Pinelli vengono prosciolti dal giudice Gerardo D'Ambrosio, il quale accerta anche che al momento della caduta dell'anarchico, il commissario Calabresi non si trovava nella stanza incriminata.
Nel 1976 si fa ancora piu' evidente il coinvolgimento del Sid, con l'arresto del generale Gian Adelio Maletti e il capitano Antonio La Bruna, accusati di favoreggiamento nei confronti di Ventura e Giannettini. Al quarto processo a Catanzaro nel 1977 viene chiamato a testimoniare anche Andreotti, il quale oppone una lunga serie di ''non ricordo'' alle domande dei magistrati che volevano accertare come mai tre anni prima il ruolo svolto da Giannettini nei servizi era stato coperto dal segreto militare.
La verita' di Moro.
Ma e' nei memoriali scritti da Aldo Moro, rapito dalla Brigate Rosse il 16 marzo del 1978 e trovato morto il 9 maggio seguente, che emerge come la strategia della tensione sia frutto di ''connivenze di organi dello Stato e della Democrazia Cristiana in alcuni suoi settori''. Quanto alla strage della Banca Nazionale dell'Agricoltura, Moro scrive che ''la pista era vistosamente nera, come si e' poi rapidamente riconosciuto''.
Le coperture dei servizi continuano intanto a funzionare e fra l'ottobre del 1978 e il gennaio del 1979 si perdono le tracce di Freda, mentre Ventura riesce a scappare dal carcere a Catanzaro. La loro fuga durera' poco: il primo viene arrestato in Costa Rica ed estradato, il secondo viene fermato a Buenos Aires.
Tutti assolti a Catanzaro.
Il 20 marzo del 1981 il processo di appello a Catanzaro si conclude con un'incredibile sentenza di assoluzione nei confronti di Freda e Ventura, condannati a 15 anni per altri attentati a Padova e Milano, e di Giannettini, che viene scarcerato. Confermate invece le condanne, ma solo per associazione sovversiva, nei confronti di Valpreda e Merlino.
Il 21 maggio la Presidenza del Consiglio diffonde la lista degli iscritti alla loggia massonica segreta P2, fra i nomi compaiono anche quelli di Maletti e La Bruna.
Ad ottobre la Procura di Catanzaro riapre l'inchiesta sulla strage ed accusa di strage l'ex capo di Avanguardia Nazionale, Stefano Delle Chiaie, il ''burattinaio'' di Merlino. Verra' arrestato in Venezuela solo nel 1987, ma due anni dopo sara' assolto per non aver commesso il fatto.
Entra in scena il giapponese.
Nel 1990 si affaccia sul proscenio Delfo Zorzi, gia' condannato in primo grado e poi assolto per la strage di Peteano. Emigrato in Giappone in modo misterioso qualche anno dopo la strage di piazza Fontana, Zorzi viene sospettato di esserne l'esecutore materiale ed e' ritenuto legato all'Uffficio Affari riservati del Ministero degli Interni, diretto da Federico Umberto D'Amato, agente segreto anche lui iscritto alla P2. L'ex esponente di Ordine Nuovo, ormai cittadino giapponese, e' accusato di aver organizzato anche la strage di piazza della Loggia a Brescia, ma la giustizia italiana si scontra con il governo di Tokyo che non concede l'estradizione. Contro Zorzi arrivano anche le testimonianze di Carlo Digilio, ex membro di Ordine Nuovo ed esperto di esplosivi, che viene arrestato nel 1992 a Santo Domingo e di Martino Siciliano, anche lui un tempo iscritto alla associazione neofascista, il quale racconta che Zorzi gli aveva rivelato che le bombe del dicembre del 1969 erano state piazzate per paura che i comunisti salissero al potere e che gli anarchici arrestati erano solo dei capri espiatori.
L'inchiesta del giudice Salvini e la beffa finale.
Nell'aprile del 1995 il giudice Guido Salvini, che sta conducendo un'indagine sulla destra eversiva, scopre un legame fra l'attentato di piazza Fontana e quello contro Mariano Rumor, presidente del Consiglio nel 1969.
Il 17 maggio del 1973 uno strano anarchico che si professa seguace delle teorie di Max Stirner, Gianfranco Bertoli, aveva lanciato una bomba a mano di fabbricazione israeliana nel cortile della questura di Milano, durante l'inaugurazione di un busto in memoria del commissario Calabresi alla presenza dell'allora Ministro dell'Interno Rumor. Il ministro ne era uscito illeso, ma la bomba aveva provocato 4 morti e decine di feriti. Secondo Salvini, anche questo attentato era opera dell'estrema destra, che voleva vendicarsi di Rumor che all'epoca di piazza Fontana non aveva instaurato l'emergenza nazionale, impedendo di fatto la deriva autoritaria auspicata dagli autori della strage.
Salvini si convince che a mettere la bomba sia stato Zorzi.
Altri dieci anni di processi, che vedranno entrare e uscire di scena neofascisti di Ordine Nuovo, ex agenti del Sid, non risolvono il rebus. Ma la teoria di Salvini viene confermata da un altro terrorista nero, Vincenzo Vinciguerra, in carcere per la bomba di Peteano, il quale rivela che fra il 1971 e il 1972 gli venne chiesto piu' volte di uccidere Rumor da parte di esponenti di Ordine Nuovo. Zorzi viene condannato in primo grado all'ergatsolo insieme a Carlo Maria Maggi, ex camerata della cellula veneta di Ordine Nuovo.
Verra' assolto in appello nel 2004 e nel 2005 la Corte di Cassazione confermando l'assoluzione scrive il copione della beffa finale nei confronti dei parenti delle vittime, condannati per legge al pagamento delle spese processuali.
Con Freda e Ventura colpevoli, ma non punibili perche' gia' assolti in via definitiva, Maggi e Zorzi accusati di complicita' con la strategia eversiva di Freda, ma ritenuti non colpevoli per le bombe del dicembre del 1969, il 2005 mette la parola fine alla storia. Decine di governi di tutti i colori e titolari della Difesa e degli Interni avvicendatisi per anni a via XX Settembre e al Viminale, non sono riusciti mai ad impedire che su una delle pagine piu' nere della storia della Repubblica calasse il definitivo sipario.
(u.d'a.)
Prima di quel 12 dicembre nessuno aveva sentito parlare di strategia della tensione, ne' di stragi o servizi segreti deviati, vocaboli diventati col tempo patrimonio del lessico comune. Ma la bomba che alle 16.37 di quel giorno del 1969 provoco' 17 morti e 88 feriti in pieno centro a Milano non cambio' solamente gli argomenti di conversazione del popolo italiano, rivelando la presenza di poteri occulti che mal digerivano le contestazioni operaie e studentesche e puntavano sulla svolta autoritaria.
Anche se l'ordigno piazzato nella sede della Banca dell'Agricoltura a piazza Fontana fu l'unico a provocare delle vittime, quel pomeriggio le bombe furono in tutto cinque. Una fu trovata inesplosa nella sede della Banca Commerciale Italiana sempre a Milano. Le altre tre scoppiarono a Roma, a pochi minuti di distanza da quella milanese, davanti alla Banca Nazionale del Lavoro di via Veneto, all'Altare della Patria e al Museo del Risorgimento a piazza Venezia, dove si verificarono quattro feriti.
Che dietro la sequenza di attacchi ci fosse un disegno ben preciso fu chiaro fin dall'inizio, ma quarant'anni dopo il primo grande mistero della storia della Repubblica italiana e' rimasto ancora senza una vera e propria soluzione. Ci sono voluti 7 processi a carico di esponenti anarchici e di estrema destra, con la condanna per favoreggiamento di alcuni agenti dei servizi segreti, ma nel 2005 la magistratura ha assolto anche gli ultimi indagati, chiudendo il caso in maniera probabilmente definitiva. Gli unici rimasti contro i quali puntare il dito sono tre membri di Ordine Nuovo, organizzazione di estrema destra fondata dal missino Pino Rauti: Franco Freda e Giovanni Ventura, per i quali la Cassazione ha riconosciuto la responsabilita' nell'organizzazione dell'attentato, senza poter tuttavia dar seguito ad una condanna penale in quanto entrambi assolti dalla Corte d'appello, e Delfo Zorzi, fuggito in Giappone nel 1974 dove e' diventato un imprenditore, ha assunto la cittadinanza del Sol Levante ed e' sfuggito cosi' ad ogni richiesta di estradizione.
Una lunga serie di false piste.
Le indagini iniziali, frutto dei primi tentativi di depistaggio, si concentrarono sugli anarchici del Circolo milanese 22 marzo. Uno di loro, Giuseppe Pinelli, fermato il giorno stesso dell'attentato, muore dopo tre giorni di interrogatori il 15 dicembre volando dal quarto piano del palazzo della Questura. Il giorno dopo, sulla base delle testimonianze di un tassista, Cornelio Rolandi, che afferma di averlo accompagnato a piazza Fontana il giorno della strage, finisce in carcere Pietro Valpreda. Per la stampa italiana e' lui il ''mostro'' e il presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, invia anche un messaggio di congratulazioni al questore di Milano. Con Valpreda viene arrestato anche Mario Merlino, che come si scoprira' solo in seguito era un neofascista infiltrato nel circolo anarchico.
La pista ''rossa'' si esaurisce presto.
Nel 1971 gli inquirenti mettono nel mirino l'estrema destra ed arrestano Franco Freda e Giovanni Ventura.
Quest'ultimo viene accusato di aver nascosto un intero arsenale in un appartamento. Cominciano a delinearsi le responsabilita' di Ordine Nuovo e nel marzo del 1972 finisce dentro anche Pino Rauti. Restera' in carcere per una ventina di giorni, poi alle elezioni di maggio viene eletto deputato per il Movimento Sociale Italiano ed esce di prigione.
Il 17 maggio del 1972 la bomba di piazza Fontana fa un'altra vittima indiretta, il commissario Luigi Calabresi (accusato dalla sinistra extraparlamentare di essere il responsabile della morte di Pinelli) ucciso con due colpi di pistola. Per questo omicidio, solo molti anni dopo, verranno condannati Leonardo Marino e Ovidio Bompressi come autori materiali e Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani come mandanti, tutti militanti di Lotta Continua.
Dopo la scarcerazione di Valpreda, che ha passato in prigione tre anni, la Corte di Cassazione assegna la competenza del processo a Catanzaro e nel 1973 fa la sua comparsa un nuovo personaggio chiave, il collaboratore del Sid (il servizio segreto militare) Guido Giannettini, che riesce a fuggire a Parigi dove continua per molto tempo ad essere stipendiato dai servizi. Sara' l'allora ministro della Difesa, Giulio Andreotti, a dire in un'intervista che Giannettini e' un uomo del Sid, criticando la decisione di non rendere noto il suo ruolo al momento del suo coinvolgimento. Solo due mesi dopo, Giannettini si consegna all'ambasciata italiana a Buenos Aires. Il governo decide di sciogliere Ordine Nuovo per decreto, accusandola di riorganizzazione del partito fascista. Le ombre sul servizio segreto militare si allungano con l'arresto nel 1974 del direttore del Sid, Vito Miceli, per cospirazione contro lo Stato nell'ambito dell'inchiesta sulla ''Rosa dei venti'', gruppo clandestino che comprendeva anche elementi dei servizi accusato di coinvolgimento in attentati e stragi e nel tentativo di golpe organizzato da Junio Valerio Borghese. Miceli verra' assolto e nel 1976 diventera' deputato del Movimento Sociale Italiano.
Il processo continua senza grandi sorprese avvalorando entrambe le tesi, con imputati anarchici e neofascisti, mentre tutti gli indiziati per la morte di Pinelli vengono prosciolti dal giudice Gerardo D'Ambrosio, il quale accerta anche che al momento della caduta dell'anarchico, il commissario Calabresi non si trovava nella stanza incriminata.
Nel 1976 si fa ancora piu' evidente il coinvolgimento del Sid, con l'arresto del generale Gian Adelio Maletti e il capitano Antonio La Bruna, accusati di favoreggiamento nei confronti di Ventura e Giannettini. Al quarto processo a Catanzaro nel 1977 viene chiamato a testimoniare anche Andreotti, il quale oppone una lunga serie di ''non ricordo'' alle domande dei magistrati che volevano accertare come mai tre anni prima il ruolo svolto da Giannettini nei servizi era stato coperto dal segreto militare.
La verita' di Moro.
Ma e' nei memoriali scritti da Aldo Moro, rapito dalla Brigate Rosse il 16 marzo del 1978 e trovato morto il 9 maggio seguente, che emerge come la strategia della tensione sia frutto di ''connivenze di organi dello Stato e della Democrazia Cristiana in alcuni suoi settori''. Quanto alla strage della Banca Nazionale dell'Agricoltura, Moro scrive che ''la pista era vistosamente nera, come si e' poi rapidamente riconosciuto''.
Le coperture dei servizi continuano intanto a funzionare e fra l'ottobre del 1978 e il gennaio del 1979 si perdono le tracce di Freda, mentre Ventura riesce a scappare dal carcere a Catanzaro. La loro fuga durera' poco: il primo viene arrestato in Costa Rica ed estradato, il secondo viene fermato a Buenos Aires.
Tutti assolti a Catanzaro.
Il 20 marzo del 1981 il processo di appello a Catanzaro si conclude con un'incredibile sentenza di assoluzione nei confronti di Freda e Ventura, condannati a 15 anni per altri attentati a Padova e Milano, e di Giannettini, che viene scarcerato. Confermate invece le condanne, ma solo per associazione sovversiva, nei confronti di Valpreda e Merlino.
Il 21 maggio la Presidenza del Consiglio diffonde la lista degli iscritti alla loggia massonica segreta P2, fra i nomi compaiono anche quelli di Maletti e La Bruna.
Ad ottobre la Procura di Catanzaro riapre l'inchiesta sulla strage ed accusa di strage l'ex capo di Avanguardia Nazionale, Stefano Delle Chiaie, il ''burattinaio'' di Merlino. Verra' arrestato in Venezuela solo nel 1987, ma due anni dopo sara' assolto per non aver commesso il fatto.
Entra in scena il giapponese.
Nel 1990 si affaccia sul proscenio Delfo Zorzi, gia' condannato in primo grado e poi assolto per la strage di Peteano. Emigrato in Giappone in modo misterioso qualche anno dopo la strage di piazza Fontana, Zorzi viene sospettato di esserne l'esecutore materiale ed e' ritenuto legato all'Uffficio Affari riservati del Ministero degli Interni, diretto da Federico Umberto D'Amato, agente segreto anche lui iscritto alla P2. L'ex esponente di Ordine Nuovo, ormai cittadino giapponese, e' accusato di aver organizzato anche la strage di piazza della Loggia a Brescia, ma la giustizia italiana si scontra con il governo di Tokyo che non concede l'estradizione. Contro Zorzi arrivano anche le testimonianze di Carlo Digilio, ex membro di Ordine Nuovo ed esperto di esplosivi, che viene arrestato nel 1992 a Santo Domingo e di Martino Siciliano, anche lui un tempo iscritto alla associazione neofascista, il quale racconta che Zorzi gli aveva rivelato che le bombe del dicembre del 1969 erano state piazzate per paura che i comunisti salissero al potere e che gli anarchici arrestati erano solo dei capri espiatori.
L'inchiesta del giudice Salvini e la beffa finale.
Nell'aprile del 1995 il giudice Guido Salvini, che sta conducendo un'indagine sulla destra eversiva, scopre un legame fra l'attentato di piazza Fontana e quello contro Mariano Rumor, presidente del Consiglio nel 1969.
Il 17 maggio del 1973 uno strano anarchico che si professa seguace delle teorie di Max Stirner, Gianfranco Bertoli, aveva lanciato una bomba a mano di fabbricazione israeliana nel cortile della questura di Milano, durante l'inaugurazione di un busto in memoria del commissario Calabresi alla presenza dell'allora Ministro dell'Interno Rumor. Il ministro ne era uscito illeso, ma la bomba aveva provocato 4 morti e decine di feriti. Secondo Salvini, anche questo attentato era opera dell'estrema destra, che voleva vendicarsi di Rumor che all'epoca di piazza Fontana non aveva instaurato l'emergenza nazionale, impedendo di fatto la deriva autoritaria auspicata dagli autori della strage.
Salvini si convince che a mettere la bomba sia stato Zorzi.
Altri dieci anni di processi, che vedranno entrare e uscire di scena neofascisti di Ordine Nuovo, ex agenti del Sid, non risolvono il rebus. Ma la teoria di Salvini viene confermata da un altro terrorista nero, Vincenzo Vinciguerra, in carcere per la bomba di Peteano, il quale rivela che fra il 1971 e il 1972 gli venne chiesto piu' volte di uccidere Rumor da parte di esponenti di Ordine Nuovo. Zorzi viene condannato in primo grado all'ergatsolo insieme a Carlo Maria Maggi, ex camerata della cellula veneta di Ordine Nuovo.
Verra' assolto in appello nel 2004 e nel 2005 la Corte di Cassazione confermando l'assoluzione scrive il copione della beffa finale nei confronti dei parenti delle vittime, condannati per legge al pagamento delle spese processuali.
Con Freda e Ventura colpevoli, ma non punibili perche' gia' assolti in via definitiva, Maggi e Zorzi accusati di complicita' con la strategia eversiva di Freda, ma ritenuti non colpevoli per le bombe del dicembre del 1969, il 2005 mette la parola fine alla storia. Decine di governi di tutti i colori e titolari della Difesa e degli Interni avvicendatisi per anni a via XX Settembre e al Viminale, non sono riusciti mai ad impedire che su una delle pagine piu' nere della storia della Repubblica calasse il definitivo sipario.
(u.d'a.)
Fonte: http://www.asca.it/focus-PIAZZA_FONTANA__40_ANNI_DOPO_STRATEGIA_DELLA_TENSIONE_SENZA_CONDANNE-2983.html
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