giovedì 16 dicembre 2010

L’ESISTENZA NON PUO’ ESSERE UNA QUESTIONE DI PUNTI


Da giovedì 9 dicembre per l’ottenimento del permesso di soggiorno CE per gli stranieri, che dà diritto a stare in Italia a tempo indeterminato, oltre alle varie barriere burocratiche vecchie e nuove, si aggiunge l’obbligo di provare la conoscenza della lingua italiana al livello A2 attraverso il superamento di un test. Premesso che non contestiamo aprioristicamente l’apprendimento della lingua italiana, occorre però riflettere sul fatto che la conoscenza di una lingua e la sua verifica attraverso i test assumono oggi il ruolo di strumenti di potere: dal risultato ottenuto in un test dipenderà la possibilità di continuare a vivere e a lavorare nel nostro Paese. La lingua diventa una barriera d’accesso, un paradosso rispetto alla funzione stessa della lingua che è un elemento fondatore di identità attraverso l’interazione sociale. Un paradosso rispetto anche alla società attuale, complessa, caratterizzata dal contatto continuo tra persone provenienti da comunità che parlano lingue diverse. Gramsci e don Milani hanno dimostrato che la lingua, anche per chi la possiede come lingua madre, può essere utilizzata istituzionalmente a costruire steccati che limitano i diritti fondamentali all’espressione. Per poter stabilire rapporti sociali, è necessario saper comunicare in maniera adeguata: in questo senso l’azione istituzionale nelle società avanzate – ed è quello che avviene negli altri Paesi europei dove la richiesta della conoscenza della lingua è preceduta da un’offerta formativa linguistica adeguata, sistematica e strutturata – DEVE creare le condizioni, le opportunità, le strutture per istruirsi e quindi anche per apprendere la lingua del Paese dove si emigra. In Italia prevale invece l’uso della lingua come filtro, come strumento di esclusione. Di offerta formativa linguistica nel DM che i test di verifica della conoscenza della lingua, non si parla affatto: si presume quindi che l’apprendimento continuerà ad essere frammentario, legato all’emergenza, nulla si propone per fornire agli immigrati reali strumenti di conoscenza della nostra lingua e della nostra cultura.  Un altro passo verso il famigerato Permesso di soggiorno a punti, un meccanismo allucinante che fornisce “crediti” ai migranti non solo in base ai requisiti di reddito, alloggio, fedina penale illibata, ma anche in base agli stili di vita, capacità di apprendimento, condizioni culturali e soggettive che si scontrano con una realtà economica e sociale nella quale è sempre più difficile inserirsi. La lingua non può fare la differenza: sappiamo che una società veramente libera e meticcia si costruisce attraverso un processo di conoscenza reciproca e non unilaterale, indispensabile a sconfiggere pregiudizi e diffidenze. Trasformare l’apprendimento della lingua italiana ad una condizione alla quale subordinare l’ottenimento di diritti, stabilire una soglia di conoscenze (livello A2) al di sotto della quale si torna ad essere “clandestini”, stravolge in partenza ogni ipotesi di integrazione individuale e collettiva.

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