Questa serata, organizzata dall’Anpi di Pianoro, nasce dal bisogno di non solo non dimenticare, ma soprattutto di non rimanere indifferenti di fronte a ciò che ci accade.
Pochi conoscono la storia e l’identità della prima donna sindaco di un piccolo comune siciliano: Santa Elisabetta a pochi chilometri di Raffadali.
Vittoria Giunti, siciliana di adozione, per scelta d’amore, partigiana e comunista , fu la prima donna a ricoprire la carica di sindaco in Sicilia e tra i primi sindaci d’Italia dopo il fascismo. La Costituzione approvata nel 48 conferiva alle donne solo la capacità elettorale attiva, ma poco dopo venne , per fortuna ,corretta attribuendo anche alle donne il diritto di essere elette.
E grazie a Gaetano Alessi, sindacalista, giornalista freelance, editorialista di Articolo 21 e LiberaInformazione, direttore di Ad Est , rivista fondata nel 2003, della quale Vittoria Giunti è la madre spirituale, che oggi ci viene restituita la memoria storica di questa donna straordinaria.
Tutto parte da un atto d’amore, quello di Gaetano Alessi nei confronti di Vittoria Giunti per trasmetterci la sua straordinaria “normalità”, e quello di Vittoria Giunti che, fiorentina d’origine, di famiglia agiata e di tradizioni antifasciste si trasferisce prima a Roma dove frequenta l’istituto di alta matematica e Via Panisperna , la famosa via dei ragazzi che facevano capo a Fermi, e successivamente mette il suo cuore e la sua anima a disposizione della lotta per la libertà.
E ogni atto della sua vita successiva segue questa falsariga; avrebbe potuto non partecipare e rimanere fuori da tutte le difficoltà che successivamente avrebbe dovuto affrontare, la lotta partigiana, la paura del pericolo, della morte, ma non lo fece, per indole e formazione combatte il fascismo, ma fu una scelta di impegno, necessaria e sentita. Partecipa successivamente a tutte le fasi che portano l’Italia alla costituzione della Repubblica,facendo parte di diverse commissioni della Costituente tra cui quella sul voto alle donne, di cui andrà sempre fiera, dirige la Casa della cultura di Milano è tra le fondatrici e direttrice della rivista Noi donne.
E soprattutto quando scelse, per amore di Salvatore Di Benedetto già partigiano e più tardi sindaco di Raffadali, di andare a vivere in Sicilia, dove sempre per amore delle donne e degli uomini che combattevano contro i latifondisti e la mafia , che li fiancheggiava, iniziò una seconda Resistenza e si candidò a sindaco.
Questo per sostenere che la forza dell’Associazione che rappresentiamo l’ANPI, sta soprattutto nell’amore per gli ideali e per la libertà, dove la politica non è “solo far carriera” come cantava Guccini già 40 anni fa, ma è lottare per i più deboli, per avere uguaglianza di diritti e di legalità.
Dove le regole valgono per tutti, e non sono aggirabili dai potenti o dagli amici dei potenti, cosa che purtroppo accade quotidianamente in ogni luogo, che sia in un ospedale, in un tribunale o in un ufficio pubblico.
Negli anni del fascismo e dell’occupazione nazista vi furono donne che lasciarono i focolari, i rosari, i doveri materni e si unirono alla lotta partigiana. Quella della lotta armata, combattuta tra i boschi e le montagne, ma anche quella fatta di gesti meno eclatanti, ma altrettanto importanti, ai quali le donne, nascoste proprio dietro la loro condizione femminile, potevano dedicarsi sommessamente. E questo nostro essere così sommesse ha fatto ritenere ai più che il nostro ruolo nella lotta partigiana fosse marginale.
Questo fu un grande errore, perché senza le donne sarebbe stato veramente difficile vincere e riportare l’Italia alla democrazia e alla libertà.
L’apporto delle donne fu massiccio sin dai primi momenti della lotta partigiana arrivando fino agli ultimi giorni dell’aprile 1945, con la completa liberazione del Paese. Non è possibile citare cifre che descrivano esattamente quante donne aderirono e si sacrificarono per la Resistenza perché molte di loro, appena conclusa la lotta, ritornarono in pieno alla loro vita familiare e di lavoro, scegliendo l’anonimato. Stando però ai calcoli di esperti militari si può affermare che le donne che furono impegnate in compiti ausiliari nella Resistenza italiana non furono meno di un milione, mentre, secondo le statistiche ufficiali, le cosiddette ‘partigiane combattenti’ furono circa 35 mila.
Un dato considerevole, secondo il quale ben il venti per cento dei combattenti furono donne.
Inoltre, la Resistenza fu anche il metaforico crogiuolo che vide finalmente nascere il concetto di emancipazione femminile che avrebbero costituito il presupposto per l’inserimento della donna nella società e l’ampliamento dei suoi diritti civili, politici e sociali.
Allo stesso tempo, però, un simile spaccato non può che far notare, con amarezza, quanto poco sia si sia fatto in tutti gli anni che ci distanziano da allora per proseguire ed accompagnare con lo stesso ritmo l’inserimento della donna nella vita politica. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Solo la condivisione della memoria di queste straordinarie persone, e Vittoria è una di loro, che hanno costruito il nostro paese, il non rimanere indifferenti, l’indignarsi di fronte alle macerie in cui siamo piombati , ci permette di riscoprire la nostra appartenenza comune, la nostra cittadinanza politica, la consapevolezza di vivere in un paese dove si partecipa tra eguali per realizzare l’uguaglianza dei diritti.
E dove tutti, uomini e donne partecipiamo alla realizzazione di tale uguaglianza.
La Resistenza non è una. Ognuno ha la sua propria, e tutte appartengono ad ognuno di noi.
Solo insieme possiamo comprendere ciò che è accaduto ieri e ciò che accade oggi, e perché.
Silvia Ferraro
Presidente A.n.p.i. di Pianoro (Bo)
Pianoro li 14 marzo 2012
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