La rivolta era nell'aria. Già da alcuni giorni nelle maggiori città dell'Algeria si respirava un clima pesante dovuto agli aumenti dei prezzi dei beni di prima necessità del 20-30 % che si sono aggiunti alla già difficile situazione socio-politica del Paese del Maghreb. L'Algeria è governata dal 1999 da Abdelaziz Bouteflika, un “modello” per gli organismi internazionali che fingono di ignorare sia le condizioni di vita della popolazione sia i più che probabili brogli che hanno portato Bouteflika al potere per due mandati consecutivi. Durante le ultime elezioni (2004), descritte come eccellente esempio di democrazia nel mondo arabo da parte dei pochi osservatori dell'OSCE, Bouteflika ha vinto con l'85 % dei consensi, percentuale che fa quantomeno dubitare sulla regolarità delle elezioni.
In campagna elettorale Bouteflika aveva dato numerose speranze ai giovani (circa il 70 % della popolazione è sotto i trent'anni) e ai settori più disagiati, promettendo di investire le riserve di denaro accumulate con l'aumento del prezzo del petrolio per diminuire la disoccupazione e per edificare nuovi quartieri e case popolari. La disoccupazione, che secondo le fonti ufficiali del governo algerino si attesta al 11 %, è in realtà al 25 %, mentre le case popolari sono state costruite in misura molto minore rispetto alle promesse della campagna elettorale.
La rabbia dei giovani algerini, accumulata per la politica di palazzo di Bouteflika e per l'aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, è riesplosa ieri, come nel 1988, di venerdì, dopo la preghiera. Ma questa sembra essere l'unica analogia fra la rivolta del '88 e quella di oggi. Nel '88 infatti la rivolta era stata molto più politica, diretta contro il partito unico e per la giustizia, mentre quella di oggi è una ribellione puramente sociale, guidata solo dalla rabbia dei giovani algerini e non dal fondamentalismo islamico che guidò quella del '88.
Questa rivolta però non riguarda solo l'Algeria, ma anche tutti i Paesi del Maghreb e del Mediterraneo. Un esempio concreto è già stato dato dalla Tunisia, dove le rivolte sono partite già alla metà di dicembre, ma non sono ancora scoppiate su ampia scala come successo in Algeria.
Quanto sta succedendo in Algeria deve dar da pensare non solo a Bouteflika e ai governanti dei Paesi del Maghreb, ma a tutto il mondo, in quanto la rivolta algerina è parte della crisi economica che colpisce tutto il mondo. Il compito per Bouteflika adesso si fa arduo, soprattutto se non cambia politica. In Algeria, come in tutto il resto del mondo, il populismo non basta più.
Marco Antonioli
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