mercoledì 28 dicembre 2011

Giorgio Bocca





Abbiamo appreso con dolore e profonda tristezza della scomparsa di Giorgio Bocca, morto il 25 dicembre 2011, dopo una breve malattia, all’età di 91 anni.

E’ stato uno dei più grandi giornalisti italiani e questo di per sé gli riserva un posto rilevante nella Storia e nella Memoria del Paese.

E’ morto un Giornalista vero e già questa è una notizia da ricordare, nell’Italia di oggi. Il Giorgio Bocca giornalista ha dato dignità ad una professione fin troppo asservita e silente verso i potenti di turno.

Ma noi antifascisti abbiamo amato e ameremo sempre ricordare il Comandante Partigiano Giorgio Bocca.

Nel 1943 decide di aderire, nella clandestinità, al Partito d'azione, seguendo l’esempio dell'amico Benedetto Dalmastro e di Tancredi “Duccio” Galimberti. Ufficiale alpino, alla firma dell'armistizio dell’8 settembre, dopo aver raccolto le armi abbandonate nelle caserme di Cuneo, raggiunge con Dalmastro e un gruppo di compagni, le vicine montagne. Da subito al comando della formazione operante in Valle Maira, nella primavera del 1944 Bocca é inviato a stabilire le basi della Brigata Giustizia e Libertà "Rolando Besana" in Valle Varaita e ne diviene il Comandante.

Nei primi giorni del 1945 Bocca è nominato Comandante della decima divisione Langhe delle formazioni "Giustizia e Libertà".

Torna quindi in Val Maira, divenendo Commissario politico della seconda Divisione "Giustizia e Libertà".

Per la sua attività Partigiana, Giorgio Bocca ricevette la Medaglia d’Argento al valor militare. Dal dopoguerra in poi, la sua voce libera e la sua figura retta si sono erte a baluardo degli Ideali e della Memoria della Resistenza, contro qualsiasi tentativo di vile revisionismo, sempre coerente a quella sua fondamentale scelta di campo per la Libertà e la Democrazia, maturata durante la Lotta di Liberazione.

Ricordarne il passato giovanile nei Guf (gruppi universitari fascisti) è un esercizio squallido di sciacallaggio: nascere negli anni ’20 e crescere in quell’Italia non permetteva di vedere molto lontano e tanti tra gli eroici giovani che salirono in montagna dopo l’8 settembre, cresciuti tra “sabati fascisti” e “libro e moschetto”, avevano potuto vedere nel fascismo l’unica ideologia all’orizzonte: rivedere le proprie opinioni, maturare un senso di ribellione al sistema e scegliere la dura lotta Partigiana, rischiare la vita per abbattere il criminale e perverso regime fascista, fu segno di grande coraggio, radicalità e coerenza morale.

Amato da molti, odiato da tanti: quegli stessi che ora scriveranno finti elogi, facendo passare l’impegno e la passione civile di Giorgio Bocca per faziosità simile alla loro. Certamente aveva dei difetti, tra i quali la ruvidità, l’eccessiva franchezza e la mancanza di diplomazia, che lo portarono a crearsi inevitabili avversioni e inimicizie.

Ma Giorgio Bocca è stato sempre un Partigiano: prima in montagna e poi sulla macchina da scrivere, sempre dalla parte della giustizia e della libertà.

Per questo è stato invidiato e detestato dai “pennivendoli” più compromessi con il sistema, quelli che hanno accesso ai media, quelli bramosi di potere: tutto quel mondo d’ipocrisia che soffoca l’Italia.

I suoi “colleghi” che invecchiano malamente, le anime vili, i sorridenti infidi, i farisei conformisti, ora gli concederanno qualche riconoscimento “peloso” postumo, soltanto perché la sua voce stentorea e la sua critica intransigente non si potranno più levare.

Se avessimo altri dieci Giorgio Bocca, il giornalismo sarebbe Giornalismo e l’Italia sarebbe un’altra Italia: quel Paese che Duccio Galimberti e i suoi compagni della “Repubblica Partigiana” della Val d’Ossola speravano di costruire, anche a costo della propria vita.

A noi il Comandante Giorgio Bocca mancherà davvero, con tutto il cuore.

Vogliamo segnalare il libro che uscirà l'11 gennaio 2012 per Feltrinelli: "Grazie no. 7 idee che non dobbiamo più accettare" , il suo testamento ideale e ricordarlo con le sue parole in un articolo pubblicato su L’Espresso dove teneva la sua rubrica settimanale.




Da Salò all'inciucio
di Giorgio Bocca



La tragedia della Repubblichina si ripete nella commedia all'italiana del tirare a campare. Che supera i problemi ignorandoli, preferendo la deriva di una caduta ai livelli minimi dei valori civili

(15 gennaio 2010)

Quando scrissi la storia della Repubblica di Mussolini, la repubblichina di Salò, il capitolo più italiano, il più ambiguo non il più drammatico, fu quello della socializzazione, che negli intenti del dittatore sconfitto e morituro doveva essere la sua vendetta, la sua eredità velenosa, la 'bomba nell'armadio' lasciata in eredità al capitalismo traditore che l'aveva abbandonato al suo destino. Il più italiano perché in quella prova suprema di rischio e di ipocrisia i socializzatori fascisti e i padroni del vapore diedero il peggio italico di sé. Il peggio di un finto socialismo che prometteva agli italiani di far parte della direzione di un'economia distrutta e di condividere degli utili inesistenti, e di un capitalismo che per socializzazione intendeva la via di scampo dalla nave che stava affondando.

Ultimo esempio in quella tragedia vera che fu la guerra delle astuzie trasformiste degli italiani. Astuzie che nel sessantesimo anno della Repubblica democratica si ripetono in quel fenomeno politico tipicamente italiano, quasi incomprensibile dagli stranieri, che va sotto il nome di 'inciucio'. Che cosa è questo 'inciucio'? E' la specialità italica per cui gli oppositori di un governo cercano fin che dura di non rinunciare ai suoi favori. O per essere più chiari: di partecipare finché si può ai suoi vantaggi e agli utili che per noi sono connessi al potere politico, riassunti dal vecchio senatore Agnelli, il fondatore della Fiat, nella celebre sentenza: "La Fiat è per principio governativa".

Gli ultimi giorni della repubblica di Salò furono il capolavoro del trasformismo italiano, il capolavoro di un fascismo morente che prometteva ciò che non aveva, l'industria e la classe operaia, a un capitalismo che fingeva di accettare una riforma impossibile offerta da una dittatura morente in cambio di salvacondotti nella resa finale dei conti.

'L'inciucio' di moda oggi fra gli oppositori di Berlusconi e la sua democrazia autoritaria si svolge in condizioni diversissime, senza occupazione straniera, senza guerra civile all'ultimo sangue, ma pur sempre riconoscibile come specialità nostrana, come modo nostro di compiere la politica.

Intanto nessuna delle parti, quella al governo e quella all'opposizione, riconosce le sue responsabilità, le sue colpe e i suoi errori. Tutte confidano in una sorta di istinto di sopravvivenza. La prima si spartisce il grosso del bottino, la seconda prende le distanze dall'unica spontanea manifestazione popolare e giovanile che chiede le dimissioni del governo, il fascismo sdoganato da Berlusconi e tornato al potere si defila con Gianfranco Fini dall'autoritarismo berlusconiano in attesa di succedergli, e il berlusconismo cerca di sopravvivere con il populismo e con la propaganda.

La tragedia di Salò si ripete nella commedia all'italiana dell''inciucio', nel tira a campare che supera i problemi ignorandoli, che ignora come 'pallosi', come noiosi, come 'jellatori' i problemi seri, preferendo la deriva di una continua caduta ai livelli minimi dei valori civili, di una rovina dei beni fondamentali dal paesaggio alle città, dal patrimonio artistico alla scuola. Convinti che l'italica furbizia, l'italico 'stellone' ci salveranno ancora una volta.

Segreteria A.N.P.I. di Pianoro (BO)


                                                                                                            

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